Aree naturali protette e art. 733-bis c.p.
L’art. 733-bis punisce con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda chiunque distrugga un habitat all’interno di un sito protetto ovvero lo deteriora in modo irreversibile.
La terza sezione della Suprema Corte ha indicato, con la sentenza n. 14779 del 24 marzo 2017, l’ambito di applicazione dell’articolo summenzionato.
In particolare, con habitat all’interno di un sito protetto si considerano non solo i parchi nazionali, le riserve naturali statali e regionali, ma in generale qualsiasi area che sia classificata come zona a tutela speciale sulla base della direttiva 2009/147/CE o come zona speciale di conservazione sulla base della direttiva 92/43/CE.
Nel caso preso in esame dalla Corte di Cassazione, il Tribunale aveva ritenuto che l’area in questione avesse solamente natura agricola e, di conseguenza, che non necessitasse di preventive autorizzazioni.
Tuttavia l’area in oggetto aveva caratteristiche di habitat potenziale 6510 che invece avrebbe richiesto una valutazione preventiva sotto il profilo della compatibilità paesaggistica.
In questo senso, non si poteva considerare il sito come agricolo “libero”, ma “condizionato”: questo perché è inserito in un’area tendente alla creazione di un habitat naturale.
L’attività contestata era un’aratura seguita dal taglio dell’erba, che non rientra tra le fattispecie ex art. 149 del Dlgs. 42/2004 non soggette ad autorizzazioni. Queste sono ad esempio interventi di manutenzione che non alterino lo stato dei luoghi oppure interventi di natura agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi o l’assetto idrogeologico del territorio.
Ed infatti nel caso in esame l’attività agro-silvo-pastorale ha certamente comportato un’alterazione permanente dello stato dei luoghi, e perciò imponeva l’autorizzazione paesaggistica.