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direttiv UE 2018/2001 fonti rinnovabili

Direttiva UE 2018/2001 e fonti rinnovabili: quale svolta normativa?

La tematica ambientale, da sempre una questione di spiccato interesse a livello normativo domestico e sovranazionale, ha recentemente conosciuto una svolta a seguito dell’attuazione della direttiva 2018/2001 in materia di fonti rinnovabili, tramite Decreto Legislativo nr. 199 del 08.11.2021.

Per analizzare a fondo tale tematica occorre partire dalla definizione contenuta all’interno dell’art.2 lettera a della Legge in questione, che specifica come per energia rinnovabile si intenda “energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare (solare termico e fotovoltaico) e geotermica, energia dell’ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, da biomassa, da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas”.

La vera finalità giustificante l’adozione di tale direttiva trova spiegazione all’interno dell’articolo 3, il quale impone che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo sia pari ad almeno il 32% entro il 2030, con una espressa clausola previgente un incremento di quota nel caso ci sia una sostanziale riduzione dei costi di produzione di detta tipologia di energia.

Al paragrafo 5 della medesima previsione la Commissione sancisce inoltre l’opportunità per gli Stati Membri di ricorrere a fondi comuni degli Stati Membri allo scopo, fra gli altri, di “incrementare il livello di energia rinnovabile tecnicamente fattibile ed economicamente realizzabile nel sistema dell’energia elettrica, nonché di “migliorare la cooperazione tanto a livello interno alla UE quanto nei rapporti con gli stati terzi attraverso progetti comuni, regimi di sostegno comuni e l’apertura di regimi di sostegno per l’energia elettrica da fonti rinnovabili a produttori situati in altri Stati membri”.

In secundis, detto della soglia pari al 32% come definito dall’art.3, occorre analizzare attentamente parametri e modalità di calcolo di detta quota, ed a tal proposito la disposizione di riferimento è l’art.7, che prevede il calcolo della quota di energia da fonti rinnovabili è calcolata sommando le seguenti voci:

  1. consumo finale lordo di energia elettrica da fonti rinnovabili
  2. consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili per il settore del riscaldamento e del raffrescamento
  3. consumo finale di energia da fonti energetiche rinnovabili nel settore dei trasporti.

Al paragrafo 2 il Legislatore UE argomenta in riferimento al primo fattore, specificando come esso vada inteso come la quantità di energia elettrica da fonti rinnovabili, compresa l’energia elettrica prodotta da autoconsumatori di energia rinnovabile e da comunità di energia rinnovabile, al netto della produzione di energia elettrica in centrali di pompaggio con il ricorso all’acqua precedentemente pompata a monte.

Particolarmente interessante è inoltre, anche ragionando anche nell’ottica di un futuro ingresso nell’UE da parte di stati attualmente terzi rispetto alla UE, l’articolo 11 della Direttiva aventi ad oggetto i progetti tra Stati Membri e Paesi Terzi.  Detta normativa, fra le condizioni perché si possa avere collaborazione a livello Extra UE, pone tra le varie condizioni il fatto che una quantità di energia elettrica “equivalente all’energia elettrica contabilizzata è stata definitivamente attribuita alla capacità di interconnessione assegnata da parte di tutti i gestori del sistema di trasmissione responsabile nel paese d’origine, nel paese di destinazione e, se del caso, in ciascun paese terzo di transito”.

Direttiva UE 2018/2001: quali vantaggi?

In conclusione, quali vantaggi si potranno concretamente avere a seguito dell’attuazione di tale direttiva? In primo luogo l’attuazione di tale Legislazione UE potrebbe consentire agli Stati Membri UE di poter conseguire l’obiettivo della riduzione di emissioni di CO2 entro il 2030, così come sancito all’interno del Green Deal e ribadito dalla UN Agenda for Ecosustainable Development, in secondo luogo, ma non meno importante considerato l’attuale teatro bellico ucraino, questo potrebbe portare in un futuro non remoto un allargamento UE ad Est.

Prendendo infatti a riferimento il caso della Croazia alla fine degli anni ’90 post conflitti balcanici, si nota come a seguito di un massiccio intervento tedesco consistente in un progetto di State Building ed includente un ammodernamento a carattere energetico, essa sia talmente progredita da un punto di vista economico da presentare nel 2011 domanda di ammissione alla UE; caso analogo si potrebbe avere con l’Ucraina post conflitto, in virtù anche delle sue ingenti risorse a carattere geotermico e mareomotrice, e consentirebbe ad una nazione storicamente ricca dal punto di vista energetico di poter acquisire il know-how tecnologico occidentale e quindi implementare una Road Map volta a conseguire l’ingresso nella UE.

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