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reati ambientali e confisca

La confisca nei reati ambientali

Come viene applicata la misura della confisca nell’ipotesi di reati ambientali? Cosa succede nell’ipotesi dell’applicazione della causa della non punibilità ex art. 131bis c.p.? E’ comunque prevista la sanzione accessoria della confisca nonostante la particolare tenuità del fatto?

E’ opportuno precisare la definizione di inquinamento ambientale, riportando quanto enunciato dalla Corte di Cassazione nella nota sentenza del 2019 sul delitto ex art. 452 bis.

In tale occasione viene specificato cosa si debba intendere per “compromissione e deterioramento” quale evento del delitto in oggetto; tali eventi consistono, per l’appunto, “in un’alterazione, significativa e misurabile dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio strutturale, connesso al decadimento dello stato o della qualità delle matrici o degli ecosistemi” (cfr Cass. Sez. III pen. sent. n. 6264/2019).

Orbene, per quanto concerne i delitti contro l’ambiente previsti dal codice penale ed introdotti con la legge n. 68/2015, il nostro ordinamento dispone l’obbligatoria applicazione della misura patrimoniale della confisca per le ipotesi di delitto agli artt. 452bis, 452quater, 452sexies, 452septies e 452octies,

Con esclusione, dunque, dei delitti colposi ai sensi dell’art. 452 quinques, l’articolo 452 undecies c.p., dispone la confisca anche delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che sono servite a commetterlo, salvo che la cosa appartenga a persona estranea al reato.

Quando ciò non sia possibile è, comunque, prevista la c.d. “confisca per equivalente”.

In questo caso sarà il Giudice ad individuare i beni di valore, appunto equivalente, da confiscare al reo, quasi come se si attribuisse alla misura una funzione risarcitoria piuttosto che quella tradizionale sanzionatoria.

Un ulteriore aspetto interessante è la misura premiale introdotta dal legislatore all’ultimo comma dell’articolo in oggetto.

E’, infatti, esclusa l’applicazione della misura della confisca nel caso in cui “l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi”.

Intendendosi per “bonifica” quanto indicato dal Testo Unico Ambientale, all’art. 240, comma 1, lett. p), rubricato “Definizioni”, quale “insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR);”.

Come si legge, poi, all’articolo successivo 452 duodecies c.p., a seguito di una sentenza di condanna, anche ex art. 444 c.p.p., per i delitti ambientali, incombe sul condannato (o, se insolvibile, sulle persone ex art. 197 c.p.) l’onere dell’esecuzione delle azioni riparatorie quali il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, al fine di rimuovere ogni sostanza inquinata ed inquinante dal sito, nonché il ripristino di quanto andato distrutto, ossia dello status quo precedente l’azione delittuosa.

Come si può evincere, dunque, questo strumento vuole conseguire due obiettivi principali.

In primis è volto ad eliminare qualunque situazione di vantaggio che possa essersi creata a favore del reo in conseguenza della commissione dell’illecito, e poi, secondariamente per preservare l’effettiva e concreta possibilità, sotto il profilo economico, della realizzazione del “ripristino” del sito inquinato, nella massima tutela dell’ambiente.

Per quanto concerne l’illecito previsto dal Testo Unico Ambientale, si ricorda che è sempre disposta l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato per il trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi, ai sensi dell’art. 260ter TUA.

La stessa misura è prevista, altresì, obbligatoriamente anche nell’ipotesi di accertamento delle violazioni previste dal comma 1, dell’articolo 256 TUA.

Il reato di gestione non autorizzata di rifiuti è ormai pacificamente considerato dalla giurisprudenza, posizione questa successivamente criticata, una ipotesi reato comune essendo, dunque, sufficiente, anche lo svolgimento della “attività di gestione dei rifiuti in modo del tutto secondario, occasionale e/o consequenziale all’esercizio di una diversa attività primaria” (ex multis cfr Cass sent. n. 29077/2013).

Di più, per quanto riguarda il rapporto applicativo tra le fattispecie degli illeciti di abbandono e di trasporto abusivo di rifiuti la Cassazione ha avuto modo di esprimersi nella sentenza n. 41352 del 2014 “ […] il soggetto privato, non titolare di una impresa e non titolare di un ente, che abbandoni in modo incontrollato un proprio rifiuto e che a tal fine lo trasporti occasionalmente nel luogo ove lo stesso sarà abbandonato risponderà dell’illecito amministrativo di cui all’art. 255 d.lgs 3 aprile 2006, n, 152, per l’abbandono e non anche del reato di trasporto abusivo di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, in quanto la condotta di trasporto, si esaurisce nella fase meramente preparatoria e preliminare rispetto alla condotta finale e principale di abbandono, e non assume autonoma rilevanza ai fini penali”.

Si nota dunque, una particolare attenzione da parte di dottrina e giurisprudenza nel distinguere il caso di commissione del reato da parte di un soggetto privato da quelle commesse nell’esercizio dell’impresa o di una attività con carattere imprenditoriale, ben potendo, in questo ultimo caso, configurarsi ulteriori e più gravi ipotesi di reato, rilevanti anche dal punto di vista penale.

Chiarito questo aspetto specifico e rilevante ai fini applicativi delle sanzioni previste, ci si chiede però se e in quali termini trovi applicazione la disciplina della confisca nella specifica ipotesi del riconoscimento della causa di non punibilità del fatto per particolare tenuità del fatto.

Come noto, l’istituto ai sensi dell’art. 131bis c.p., introdotto nel nostro ordinamento a seguito dal D.Lgs n. 28/2015, presuppone un fatto tipico quale ipotesi di reato e la commissione dello stesso; sussiste, dunque, l’offensività del fatto previsto, anche e deve ritenersi non punibile per l’ordinamento date la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento tenuto.

A tal proposito si segnala la recente sentenza n. 24974 dello scorso 2 settembre 2020 che affronta il caso particolare della legittimità della confisca del mezzo di trasporto a seguito della commissione del reato della gestione non autorizzata di rifiuti a seguito del riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.

La vicenda concerne il caso di condanna del reo per aver commesso la fattispecie di reato prevista dall’articolo 256, comma 1 lett. a) in merito alla gestione non autorizzata di rifiuti, per “aver esercitato con il proprio autocarro attività di raccolta e trasporto di rifiuti” senza la necessaria iscrizione presso l’Albo dei Gestori Ambientali ex art. 212 TUA.

Ma, per il difensore di fiducia, la sentenza di merito è errata nella parte in cui non viene concessa l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis, in quanto, tra le altre, l’attività di raccolta di rifiuti ha costituito un unico episodio isolato, ossia non in maniera abituale, lontano, dunque, dal rappresentare “un danno grave ed irreparabile”.

Il ricorso è stato ritenuto fondato ben potendosi ravvisare l’applicazione della “[…] causa di non punibilità richiesta, senza la necessità di disporre l’annullamento con rinvio, in base al disposto dell’art. 620, lett. l) c.p.p.”.

Orbene, nonostante l’annullamento senza rinvio alla sede di merito della sentenza in oggetto e l’immediato riconoscimento della causa di non punibilità, la Suprema Corte ha confermato la misura della confisca della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo (ai sensi dell’articolo 260 ter, comma 5 TUA), non potendone, dunque, disporre la revoca.

Questo si spiega alla luce della disciplina in oggetto che è chiara sul punto, infatti,  “il riferimento al solo accertamento del reato, quale condicio sine qua non per l’operatività della confisca obbligatoria deve essere inteso nel senso che per l’adozione della misura ablatoria non è richiesta necessariamente la pronuncia di una sentenza di condanna e, del resto, l’applicazione della causa di  non punibilità dell’art. 131-bis c.p. non esclude la rilevanza penale del fatto ma ne attesta solo il profilo di particolare tenuità”.

Viene, così, definitivamente sancita la legittimità della misura obbligatoria della confisca del mezzo per il trasporto illecito dei rifiuti, nonostante il riconoscimento, nel caso di specie, della causa di non punibilità ex art. 131bis c.p., potendosene ragionevolmente escludere l’applicazione nell’unica specifica ipotesi di “assoluzione nel merito per l’insussistenza del fatto”.

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