La legittimità del sequestro preventivo in materia di inquinamento atmosferico.
Il tema della qualificazione della quasi totalità degli illeciti, specialmente di natura penale, in materia ambientale è stata strutturata da parte del nostro legislatore nazionale come reato a pericolo astratto (ovvero presunto), in grado di scontare tutta la propria intrinseca ed immanente pericolosità per il bene giuridico ambientale e della salute della collettività di consociati senza la necessità di una verificazione concreta e circostanziata della sua potenziale materializzazione pericolosa ovvero lesiva.
La tecnica utilizzata dal legislatore per la delineazione dei reati contravvenzionali contenuti all’interno del Testo Unico Ambientale, costituito dal d.lgs. 152/2006, e la successiva elaborazione dei delitti ambientali inseriti all’interno del titolo VI-bis a seguito della emanazione della l. 68/2015 si lega, del resto, alla necessità che una simile anticipazione sanzionatoria sia riconnessa alla peculiarità del bene ambientale e alla rilevanza di quest’ultimo dal punto di vista non solo e non tanto economico, secondo una storicamente diffusa visione antropocentrica del bene ambiente, ma altresì etico e sociale.
La premessa sin qui effettuata pare necessaria per poter meglio analizzare quanto sostenuto dai giudici di legittimità in occasione della pronuncia 7 novembre 2017 n. 50632. Sulla questione, infatti, originata da un ricorso avanzato da parte di un imputato avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di sequestro preventivo di un sito che svolgeva attività di produzione di calcestruzzo, ha consentito alla Suprema Corte di chiarire taluni punti rilevanti in tema di un particolare tipo di illecito penale contravvenzionale e consolidare, ancora una volta, i principi di diritto manifestati dal legislatore in tema di inquinamento ambientale, in questo particolare caso; atmosferico, e recepiti omogeneamente da parte della giurisprudenza, specialmente da quella nomofilattica.
Il caso deciso dalla Cassazione
Anzitutto, come già preannunciato, la vicenda originava da un provvedimento del giudice per le indagini preliminari di sequestro preventivo di un sito, in cui venivano poste in essere attività di produzione su larga scala di calcestruzzo. Tali attività risultavano essere incontestabilmente riconosciute come foriere di massicce emissioni di sostanze potenzialmente inquinanti e tossiche all’interno della atmosfera, con conseguente possibile compromissione della salubrità dell’aria. Proprio per tali significative emissioni l’autorità giudiziaria inquirente rilevava l’assenza della formale autorizzazione, prescritta proprio dal corpus normativo del d.lgs. 152/2006, per lo svolgimento di attività originanti rilevanti livelli di emissione in atmosfera di agenti potenzialmente pregiudizievoli e richiedeva, per tale ragione, al giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo del sito per ragioni preventive e probatorie, in virtù della ritenuta integrazione delle fattispecie incriminatrici previste e punti agli artt. 269, I comma e 279, I comma dello stesso Testo unico ambientale succitato. L’istanza del pubblico ministero veniva accolta dalla autorità giudiziaria, il ché determinava la presentazione di formale ricorso per cassazione, al fine specialmente di non aggravare le attività produttive ed industriali ivi svolte.
La presentazione del ricorso consentiva ai giudici di legittimità di pronunciarsi tanto sulla legittimità del sequestro preventivo, quanto, cosa ancor più rilevante nella formazione di un principio di diritto chiaro e unificante la giurisprudenza di merito, sulla natura giuridica e sulle caratteristiche delle contravvenzioni ambientali de quibus.
La questione che invocava l’intervento chiarificatore della Suprema Corte di Cassazione risulta essere peraltro particolarmente nota ed estremamente frequente nella galassia degli illeciti ambientali. In tal senso, difatti, il titolare del sito utilizzato per le attività industriali da cui originavano le emissioni atmosferiche sine autorizzazione, adduceva come motivi ostanti alla emissione di provvedimenti giurisdizionali di sequestro preventivo dell’intera area in cui le attività succitate venivano poste in essere, la non dimostrata concreta lesività delle emissioni in oggetto ovvero, quantomeno, la non comprovata effettiva e reale potenzialità pregiudizievole di dette emissioni. Riteneva, la difesa dell’imputato, dunque, che, non essendo stata raggiunta la prova della effettiva lesività ovvero pericolosità di tali emissioni, non potesse ritenersi integrato il requisito del periculum in mora latamente inteso. Proprio su tale questione i giudici di piazza Cavour decidevano di pronunciarsi esplicitamente proprio con la sentenza prima citata.
La natura giuridica e le caratteristiche della fattispecie esaminata
Prendendo posizione, anzitutto, sulla natura giuridica della fattispecie contravvenzionale de qua, i giudici della Cassazione sancivano la caratteristica permanente di detto illecito penale. In tal senso, difatti, i giudici di legittimità stabilivano come l’emissione atmosferica priva di autorizzazione protrae la propria antigiuridicità sino al momento in cui dovesse eventualmente cessare tale situazione di contrarietà alle disposizioni normative, del Testo unico ambientale, con le due alternative condotte contemplate in tale situazione: la cessazione delle emissioni stesse ovvero l’istanza e l’ottenimento di formale autorizzazione. Solo dal momento della cessazione della situazione di antigiuridicità, conformemente alla caratterizzazione come permanente del reato, potrà farsi decorrere anche il termine prescrizionale con conseguente individuazione del dies a quo.
Al di là della permanenza del reato, assai significativa è parsa, tuttavia, la presa di posizione della autorità giudiziaria di ultima istanza sulla natura giuridica in tema di offensività della fattispecie contravvenzionale in oggetto. La Cassazione afferma, difatti, come la contravvenzione di emissione atmosferica non autorizzata debba essere pacificamente ricondotta nel novero dei reati di pericolo astratto, stabilendo addirittura come tale configurazione rende irrilevante anche l’eventuale solo inizio della attività potenzialmente integrante, in termini materiali, l’illecito penale de quo.
L’integrazione degli estremi penalmente rilevanti della condotta risulta infatti anticipatamente collocata al solo e mero momento di sottrazione della condotta al controllo e alla vigilanza della autorità amministrativa competente e, dunque, allo Stato. La Cassazione puntualizza come la finalità del legislatore non è solo o non esclusivamente solo quella del formale rispetto dei valori di emissioni atmosferiche ma cautelare il bene ambientale e la salute della collettività di consociati. L’attività di vigilanza posta in essere da parte delle autorità statali, centrali ovvero periferiche, risultano essere infatti, a specificazione della Cassazione medesima, finalisticamente orientata alla efficace tutela del bene ambientale, sorvegliando che le emissioni non superando i valori soglia, non rischino di compromettere rilevantemente il bene ambientale.
La semplice sottrazione degli impianti alle verifiche e ai controlli delle autorità competenti risulta essere in grado di concretizzare, di per sé, il pericolo legislativamente preso in considerazione nella elaborazione della contravvenzione. Pertanto, i giudici di legittimità confermano la natura di pericolo astratto dell’illecito in oggetto, in cui la valutazione di pericolosità è stata già compiuta dal legislatore a monte, stabilendo la rilevanza penale della mera sottrazione ai controlli della autorità competenti, condotta propedeutica alla compromissione del bene ambientale e la salute della collettività.
Con la sentenza 7 novembre 2017 n. 50632 la Cassazione conferma pertanto l’irrilevanza, ai fini della integrazione della contravvenzione de qua, della effettiva compromissione del bene giuridico tutelato e anche la verifica della concreta pericolosità della condotta di cui si discute della illiceità penale, essendo accertamenti già predisposti aprioristicamente da parte del legislatore, configurando una fattispecie di pericolo astratto, la cui rilevanza penale, come detto, risulta essere anticipatamente collocata al momento della predisposizione ed eventuale inizio della condotta all’oscuro delle autorità competenti, propedeutica alla compromissione o messa in pericolo dei beni giuridici cautelati.