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Reato di detenzione di renna

Detenzione di renna

AmbientaleGennaio 16, 2019

Il periodo natalizio, al di là delle varie posizioni ideologiche sussistenti all’interno di un ordinamento oramai filosoficamente e culturalmente liberista (talvolta, peraltro, irrazionalmente liberista), è da sempre foriero di atmosfere particolari e percepibili a livello quasi extrasensoriali.

Periodo amato e desiderato specialmente dai più piccoli, sia pure non eccezionalmente così tanto atteso anche da taluni adulti, può condurre anche ai giudici della Corte di Cassazione, non si sa quanto loro malgrado, ad essere investiti di cotanta atmosfera emozionale e particolare.

In tal senso, difatti, la III Sezione Penale della Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi assai recentemente sulla latitudine operativa della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 6, I comma, L. 150/1992, disciplinante la detenzione di animali, quali che siano rettili ovvero mammiferi, pericolosi per la incolumità e la salute della collettività umana.

Il non casuale riferimento all’atmosfera natalizia e a tutto ciò che questa determina nel comune sentire e nelle coscienze, si ricollega in modo specifico e puntuale all’animale che, nel caso de quo, era stato oggetto di detenzione, determinando l’insorgere di formale procedimento penale a carico del soggetto responsabile e che giungeva, infine, alla specificazione, in termini di diritto vivente, della Cassazione Penale.

 

Detezione illecita di animale

La persona, dapprima, sottoposta alle indagini preliminari e, successivamente, presentata, quale imputato, innanzi al Tribunale ordinario di Asti, veniva infatti ritenuta responsabile della illecita detenzione di una renna, rientrante nella sfera possessoria del soggetto per poter essere utilizzata successivamente per l’allestimento di decorazioni natalizie.

L’eccessiva partecipazione emotiva al periodo natalizio costava al soggetto de quo un processo penale, terminato con una pronuncia del giudice di ultima istanza.

La vicenda originava, come preannunciato, dalla detenzione, da parte del soggetto, di una renna che, sia pure nata in cattività e non presentante alcuna problematica comportamentale, avrebbe dovuto essere destinata ad una allegra composizione natalizia.

In ordine a tali fatti, le indagini preliminari mettevano in luce il difetto della autorizzazione, legislativamente contemplata ed obbligatoriamente richiesta dall’art. 17 della Legge n. 157/1992, per poter legittimamente detenere fauna selvatica ai fini alimentari, di ripopolamento, ornamentale ovvero amatoriale, formalmente rilasciata da parte della Regione (come normalmente si può osservare in materia di allevamento di cinghiali, proprio all’interno della stessa Regione Piemonte).

Proprio per tale difetto, si delineavano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 6, I comma, che prescrive il divieto di detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici ovvero provenienti da riproduzioni in cattività che, in particolari condizioni ambientali e/o comportamentali, possono arrecare, con la loro azione, effetti mortali ovvero invalidanti all’uomo o che non sono sottoposti a controlli sanitari o trattamenti di prevenzione, possono trasmettere malattie all’uomo.

La renna rientra specificamente all’interno di un elenco, emanato tramite sua inclusione all’interno dell’art. 1 del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 19 aprile 1996, riferito proprio alle specie animali che devono ritenersi pericolose ai sensi della definizione legislativa surriportata e che, pertanto, in assenza di formale autorizzazione, non possono essere detenuti senza integrare la fattispecie incriminatrice in oggetto.

Il giudice di prime cure, tuttavia, assolveva l’imputato ritenendo che, sia pure rientrante nell’apposito elenco, la renna, in quanto nata e cresciuta in condizioni di cattività e perfettamente mansueta, non poteva ritenersi concretamente pericolosa per la salute ed incolumità pubblica, determinando l’assenza di qualsivoglia integrazione di quel minimum di offensività che avrebbe giustificato l’emanazione di una sentenza di segno opposto.

In realtà, dal punto di vista strettamente giuridico, deve censurarsi un erroneo ragionamento del Tribunale ordinario di Asti, avendo quest’ultimo, nella applicazione concreta della fattispecie astratta, trasformato surrettiziamente un reato di pericolo astratto in reato di pericolo concreto, esprimendo, logicamente e successivamente, una valutazione di concreta possibilità di offesa o quantomeno messa in pericolo della condotta.

Avverso la sentenza, emessa in data 4 dicembre 2017, il Pubblico Ministero presentava immediatamente (per saltum) ricorso in Cassazione, la quale si pronunciava con sentenza del 7 novembre 2018 con n. 50137.

La Suprema Corte, dopo aver preso atto del dato oggettivo dell’inserimento della renna all’interno della elencazione ministeriale degli animali potenzialmente pericolosi di cui deve essere tenuto conto ai fini della integrazione del reato prescritto, avalla le considerazioni avanzate dalla pubblica accusa ricorrente.

Gli Ermellini con la pronuncia summenzionata ricordano infatti che la integrazione della fattispecie contravvenzionale è limitatamente vincolata alla detenzione e custodia di animali che siano considerati potenzialmente pericolosi in virtù della valutazione effettuata dal legislatore, indifferentemente dalla concreta pericolosità dei medesimi e dalle modalità in cui la custodia si estrinseca.

Pertanto, la fattispecie si qualifica come reato a pericolo astratto e non concreto, restando irrilevante ogni forma di valutazione sulla reale pericolosità della condotta. La concreta nocività dell’animale e la pericolosità delle modalità di custodia sono pertanto elementi già considerati ex lege, senza che possano incidere sulla rilevanza penale della fattispecie.

Ad onta di tale principio di diritto i giudici di ultima istanza hanno cassato la sentenza, rinviando alla Corte di Appello di Torino la soluzione della fattispecie conformemente a quanto sostenuto dal giudice nomofilattico.

Sia pure quantomeno apprezzabile lo spirito natalizio manifestato dall’imputato, la lucidità dello stesso avrebbe dovuto condurlo ad una diligente valutazione della potenziale rilevanza penale della propria condotta, puntualmente identificata dalla Suprema Corte di Cassazione.

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