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legislazione sulla rimozione rifiuti abbandonati

Rimozione dei rifiuti abbandonati e procedure concorsuali

AmbientaleOttobre 8, 2023

Il 1° e 3° comma dell’art. 192, T.U. n. 152 del 2006, disciplina i nessi strutturali relativi al Delitto di “divieto di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo”; la misura interdittiva conseguente all’accertamento di questa condotta illecita, prevede che il potere – dovere di ordinare la rimozione ed il ripristino dello stato dei luoghi, vada esercitato subitaneamente sia nei riguardi di chi dolosamente abbandona i rifiuti, sia nei confronti del proprietario o del titolare di altro diritto reale cui la relativa violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa.

Il criterio di imputazione soggettiva minimo, quindi è dato dalla colpa, soprattutto nella configurazione di colpa c.d. generica, quando cioè il fatto dannoso sia la conseguenza di un livello di prudenza inferiore alla media e rappresenti la violazione di regole di prudenza, negligenza od imperizia.

Ora la condotta in questione subisce un processo di adattamento quando il proprietario dell’area abbia le caratteristiche di un centro d’imputazione collettiva, costituendo essa una persona giuridica. In tal caso, in particolare, rilevando il dato oggettivo della disfunzione della struttura organizzativa ed il dato obiettivo della trascuratezza ed incuria della gestione.

Questo principio, poi, vale in particolare con riferimento al comma 3° dell’art. 192 T.U. n. 152 del 2006 a tenore del quale l’autore del Delitto di una delle condotte costituenti abbandono di rifiuti, indipendentemente se il proprietario dell’area sia un soggetto pubblico od un soggetto privati, anzi soprattutto laddove la natura giuridica del soggetto agente corrisponda a quella di un ente pubblico, “(…) è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio, recupero od allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.

Ne consegue come, seguendo il trend giurisprudenziale maggioritario, debba considerarsi legittima un’ordinanza emessa ex art. 192 D.lgs. n. 152 del 2006 con la quale un Comune ha imposto ad una società dichiarata fallita la rimozione dei rifiuti presenti in un sito industriale abbandonato, facendo ricadere l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui al cit. art. 192 sulla curatela fallimentare (così in particolare Cons. Stato, Sez. IV, 02/03/2023 n. 2208 in riforma T.A.R. Calabria, sez. I, 30 marzo 2016 n. 577).

Per cominciare con la ricostruzione dei fatti, si osserva come la Società destinataria dell’ordinanza di rimozione è stata proprietaria di un sito industriale di circa 50 mila mq di superficie nel quale dal 1969 ha prodotto acido tannico e pannelli di truciolato di legno utilizzando come materia prima appunto legno di castagno ed altri legni bianchi; per realizzare questo ciclo produttivo ha realizzato in particolare tre bacini artificiali, scavati direttamente nel terreno con argini sopraelevati e senza impermeabilizzazione del fondo, denominati “laghetti 4, 5, e 6, con una capacità di circa 75 mila metri cubi ciascuno i primi due e circa 100 mila metri cubi il terzo”; in questi laghetti scaricava le acque di processo con i relativi scarti di lavorazione.

Questo iter è perdurato fino agli inizi degli anni ’00, quando la società in particolare nel 2002 ha cessato la produzione nel sito, il 1° agosto 2005 ha formalmente cessato l’attività ed il 5 aprile 2006 è stata posta in liquidazione con conseguente abbandono del sito.

Tramite una serie di indagini successive coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, è poi risultato che la falda acquifera sottostante e prossima ai laghetti, fosse fortemente contaminata da metalli pesanti, rendendosi quindi necessaria una bonifica per prevenire conseguenze peggiori.

Né la condotta riabilitatoria della Società ha assunto iniziative definitive. Infatti, con nota della società 11 febbraio 2008 prot. n.2430, la società ha chiesto all’allora competente Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti nella Regione Calabria l’approvazione di un piano di caratterizzazione ai sensi dell’art. 242 d. lgs. 3 aprile 2006 n.152, cui è stato avviato, senza però alcun seguito, un procedimento di bonifica del sito.

Ad interrompere poi in via definitiva quest’autonomia sanante, è stata l’emanazione della L.r. Calabria 12 agosto 2002 n. 34 e la delibera attuativa della Giunta 9 marzo n. 107, con cui la competenza in materia è passata ai Comuni.

In ottemperanza a questo provvedimento normativo, così il Comune di Rende, con deliberazione della Giunta 29 maggio 2012 n. 59, ha quindi approvato il piano di caratterizzazione del sito. Quando però si è trattato di procedere alla bonifica propriamente detta, il progetto presentato dalla società non è stato approvato dalla conferenza dei servizi ritualmente convocata dal Comune.

Per far fronte alla situazione, il Comune ha agito così in due direzioni. In primo luogo con ordinanza contingibile ed urgente datata 23 maggio 2013 n. 51, ha ingiunto alla società di avviare la rimozione dei rifiuti liquidi presenti nei laghetti.

In secondo luogo, con deliberazione della giunta datata 31 maggio 2013 n. 41 ha formalmente respinto la proposta dei piano di bonifica. A seguito di ricorso giurisdizionale, l’ordinanza contingibile ed urgente è stata annullata con provvedimento del T.A.R. Calabria, Catanzaro sez. I, del 30 luglio 2014 n. 1225.

A seguito di ulteriori indagini, presso il sito abbandonato si sono poi riscontrate esalazioni maleodoranti ed incendi, tanto che il personale del Corpo forestale dello Stato, con una mobilitazione formale, ha rilevato che in due dei tre laghetti era in atto un incendio di tipo sotterraneo, che bruciava lentamente il rifiuto accumulato negli invasi stessi, liberando nell’atmosfera fiumi acri e maleodoranti.

Al fine di neutralizzare cotali effetti, ma altresì al fine di imporre una restitutio in integrum il Sindaco del Comune ha fatto fronte con ordinanza del 27 agosto 2015 n. 139 e con cui ha rilevato che “l’emissione di fumi e l’accendersi degli incendi possono essere arrestati con la rimozione dei rifiuti depositati nei bacini n. 4 e 5 e ciò nell’interesse esclusivo di non recare pregiudizio alla salute pubblica e all’ambiente in genere” e ritenuta la necessità, indifferibilità ed urgenza di provvedere dispone così come si è detto, richiamando in modo espresso l’art. 50 comma 5 del T.U. 18 agosto 2000 n.267, per cui “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale”.

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.A.R. ha accolto il ricorso della società e annullato quest’ordinanza, fondando la propria decisione sulla mancanza del presupposto di legge per emanarla, ovvero la “necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile”, non fronteggiabili con mezzi ordinari.

Appena dopo nell’immediato, con sentenza del Tribunale civile di Cuneo 5 agosto 2016 n.37, la società è stata dichiarata fallita.

Contro la sentenza del T.A.R. ha, invece, proposto impugnazione il Comune intimato, con appello che è stato notificato sia alla società che al fallimento e contenente un unico motivo di violazione degli artt. 50 e 54 TUEL 267/2000 ed eccesso di potere per travisamento del fatto. Il Comune ha sostenuto infatti di avere emesso l’ordinanza non per conseguire l’obiettivo della bonifica del sito, ma per fronteggiare una ben determinata e specifica situazione di emergenza, ovvero l’incendio dei rifiuti di cui si è detto, che sarebbe andata a sovrapporsi al contesto complessivo.

Il fallimento dal canto suo ha resistito con memoria depositata l’8 novembre 2017, chiedendo che l’appello fosse dichiarato inammissibile perché un fallimento non potrebbe essere destinato di un’ordinanza come quella impugnata, non disponendo fra l’altro di fondi per eseguirla.

Il Consiglio di Stato, come accennato in apertura, ha fra l’altro ritenuta infondata l’eccezione per cui il fallimento in quanto tale non potrebbe essere destinatario di un’ordinanza del tipo di quella impugnata. Questo assunto è stato motivato sulla base della precedenza dell’ordinanza stessa rispetto alla dichiarazione di fallimento della società.

In particolare, così come ritenuto dall’Adunanza Plenaria del 26 gennaio 2021 n. 3, “l’abbandono di rifiuti costituisce una diseconomia esterna, ovvero un’esternalità negativa, derivante dall’attività di impresa, costituendo quindi un costo di cui i creditori della massa fallimentare debbono farsi carico per potere così avvantaggiarsi dell’eventuale residuo attivo della procedura”.

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