Biotecnologie negli Organismi Geneticamente Modificati: piante transgeniche e nuove tecnologie
Biotecnologie negli OGM: la prima generazione di piante transgeniche e le nuove tecnologie
Buona parte del dibattito che ruota attorno alla prima generazione di Organismi Geneticamente Modificati (Piante IR ed HR) si è sviluppato nell’alveo delle esigenze “apparenti” e contrapposte delle aziende sementiere da un lato, e dall’altro degli “ambientalisti”.
Purtroppo, si è perso di vista il reale oggetto della questione e la summenzionata contrapposizione ha creato un grave paradosso: lo stallo.
L’importazione degli OGM
Il fronte “anti ogm” è riuscito ad impedire la coltivazione delle piante in Italia, per contro dal punto di vista industriale l’Europa ha scelto più o meno scientemente di importare gli OGM senza coltivarli (sul punto va evidenziato che circa il 90% del fabbisogno di soia europeo per anno è di derivazione OGM di importazione).
Tale scelta ha determinato delle conseguenze dirette, in primis, sul piano degli impatti ambientali:
- trasporto delle derrate;
- impiego massivo di pesticidi.
L’Italia accumula complessivamente un debito annuo nell’interscambio commerciale agroalimentare pari a 5/7 miliardi di Euro, la cui metà è legata alla importazione di soia e mais OGM dai principali Paesi esportatori (USA, Argentina, Brasile, Paraguay).
I dati di Assalzoo (Associazione dei mangimi italiani) indicano nell’87% la percentuale di tutti i mangimi commercializzati in Italia che contengono OGM.
Tali mangimi vengono utilizzati dai principali Consorzi di tutela dei prodotti tipici DOP, tra cui i primi quattro prodotti alimentari italiani (Prosciutto di Parma, San Daniele, Parmigiano Reggiano, Grana Padano), tuttavia in ottemperanza del Regolamento Europeo 1830/2003 sulla etichettatura dei prodotti contenenti OGM, i mangimi commercializzati contenenti OGM devono essere identificabili.
Le varietà OGM di prima generazione sono giunte al capolinea, ad esempio, la soia resistente al glifosato è uscita dalla tutela brevettuale nel 2014 ed il mais Bt nel 2015.
Le analisi di sicurezza sanitaria e ambientale
Le enormi (spesso immotivate) spese legate alle analisi di sicurezza sanitaria e di sicurezza ambientale richieste per accedere alle colture OGM hanno portato ai risultati seguenti:
- inibito lo sviluppo tecnologico;
- raggiungimento per gli OGM di un livello di sicurezza sanitaria ed ambientale che nessun altro cibo commercializzato al mondo ha mai conosciuto!
La definizione di organismo geneticamente modificato
Ripercorrendo l’evoluzione (la parabola) della prima generazione di piante transgeniche, è necessario partire dalla definizione legale di Organismo Geneticamente Modificato ai sensi della Direttiva 2001/18/CE che è utilizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità:
“possono essere definiti OGM gli organismi il cui Dna è stato alterato in una maniera che non avviene in natura attraverso l’incrocio o con la ricombinazione naturale.”
Tale definizione si applica unicamente agli OGM ad approccio transgenico, ovvero integrando uno o più geni esogeni in un genoma ospite.
Il quadro normativo riflette la difficoltà di definire la tecnologia transgenica e scatena il contrasto interpretativo su significati e potenzialità degli OGM in molti campi, tra cui il miglioramento genetico delle specie di interesse agrario.
Va rilevato che oltre 2.500 delle varietà di piante oggi commercializzate (dalle ciliegie alle melanzane, dal riso al grano) sono il risultato dei programmi di mutagenesi compiuti negli anni ’70 del ‘900, tramite radiazioni ionizzanti, cobalto e raggi gamma: tali piante non sono considerate OGM in senso giuridico, pertanto non sono assoggettate alle analisi di verifica della sicurezza sanitaria ed ambientale previste invece per le varietà transgeniche.
Diverso sarà anche l’iter di approvazione alla commercializzazione; ad esempio, tra le piante resistenti agli erbicidi, le piante di soia “Roundup Ready” (transgeniche) sottostanno al complesso iter ex Direttiva 2001/18/CE, mentre le piante di riso “Clearfield” non ricadono nel campo di applicazione, essendo ottenute con mutagenesi, e la loro coltivazione/commercializzazione è regolata dal semplice Certificato di Ottenimento Varietale (COV).
Tutela delle varietà vegetali
Rimanendo sul punto della tutela della proprietà intellettuale delle specie agrarie, tematica assai complessa ed articolata, questa investe sia le varietà transgeniche che quelle convenzionali.
In USA lo strumento di tutela è quello del brevetto, mentre in Europa si adopera il sopramenzionato Certificato di Ottenimento Varietale.
Il COVE (COV Europeo) rappresenta lo strumento di tutela e protezione delle varietà vegetali UE, che regola:
- Il privilegio del costitutore di usare liberamente una nuova varietà come parentale per lo sviluppo di altre varietà;
- La documentazione dell’atto di creazione varietale, proibendo lo sviluppo di varietà derivate;
- Il privilegio dell’agricoltore di utilizzare per le semine dell’anno successivo una parte della sua produzione, senza dover pagare nulla al costitutore se rientra tra i piccoli coltivatori o pagando un diritto di licenza limitato e fissato di comune accordo tra le parti, se non è un piccolo coltivatore.
Le prime pubblicazioni scientifiche che dimostrano inequivocabilmente le applicazioni della biologia molecolare e dell’Agrobacterium (vettore usato per traghettare nuovo Dna all’interno delle cellule vegetali) per l’ingegnerizzazione del genoma vegetale risalgono all’inizio degli anni ’80.
Nel 1988 la società biotecnologica americana Calgene ha sviluppato il primo prodotto OGM, commercializzato successivamente al supermercato nel 1994, si tratta del pomodoro Flavr Savr.
A cavallo tra la fine degli anni ’80 e inizio ’90 la società Monsanto semina quella che ad oggi rimane la coltivazione leader tra tutti gli OGM, la soia Roundup Ready.
Tra le varietà transgeniche di prima generazione, le varietà oggi maggiormente coltivate sono due:
- Resistenza agli insetti (Piante IR);
- Resistenza ad erbicidi (Piante HR).
Scenari normativi e nuove tecnologie
La procedura di autorizzazione delle varietà transgeniche prevede una attenta valutazione del potenziale impatto ambientale, tra cui:
A) lo sviluppo di infestanti resistenti agli erbicidi: come dimostrato da analisi a largo spettro dell’evoluzione delle resistenze al glifosato: in realtà ciò che maggiormente aumenta la probabilità di selezionare specie resistenti è l’uso di monocolture ripetute e l’impiego di un singolo erbicida…NON vi è invece correlazione con le VARIETA’ OGM;
B) lo sviluppo di insetti target resistenti: l’impiego di varietà IR può favorire lo sviluppo di insetti target resistenti, tuttavia gli studi dimostrano che il rischio è bilanciato da un approccio basato sulla strategia “alta dose-rifugio” anche in condizioni di coltura intensiva;
C) effetti delle colture su insetti non-target: uno dei rischi ambientali più studiati, quello ei possibili effetti negativi su organismi non-target, in realtà è stato ampiamente dimostrato come sia trascurabile e che non esistano differenze significative rispetto alla coltivazione con varietà tradizionali.
In conclusione appare doveroso ribadire quanto evidenziato nel preambolo, ovverosia che le ingenti spese sostenute per le analisi di sicurezza sanitaria/ambientale sulle colture OGM ha portato ad un livello di sicurezza che supera qualunque cibo commercializzato al mondo
L’auspicio è dunque quello di riservare un trattamento normativo idoneo, efficace ed efficiente alle nuove tecnologie di Next Generation Breeding, in particolare la Cisgenesi ed il Genome editing; ciò in quanto una normativa che sottoponga tali prodotti a controlli eccessivi (simili a quelli oggi adottati per i prodotti transgenici) potrebbe di fatto rendere la tecnologia inutilizzabile per fini pratici ed applicativi.
L’utilizzo di queste nuove tecnologie avrà ancora più importanza in tutte quelle specie in cui il ricorso all’incrocio è sconsigliabile, o per via dei tempi troppo lunghi o perché andrebbe a modificare l’identità genetica della varietà di partenza: questo è proprio il caso di molte coltivazioni tipiche della agricoltura italiana di grande importanza economica (vite, olivo, agrumi) in cui, grazie al genome editing è possibile modificare uno o più caratteri di interesse senza alterare le altre caratteristiche che rendono tipica ed unica una varietà coltivata.