inquinamento luminoso

Inquinamento luminoso

Si definisce inquinamento luminoso l’alterazione della luce naturalmente presente in un ambiente notturno per opera di luce prodotta artificialmente. Negli ultimi anni ha assunto un ruolo importante all’interno della discussione relativa alla protezione dell’ambiente.

L’Italia non è provvista di una normativa sull’inquinamento luminoso a livello statale, ma numerose sono le leggi regionali in materia: non tutte queste però prescrivono criteri tecnici per una limitazione degli effetti dell’inquinamento luminoso.

Gli obiettivi comuni di queste leggi sono la riduzione dell’inquinamento luminoso, la riduzione dei fenomeni di abbagliamento, una tutela dei siti degli osservatori astronomici e contestualmente un miglioramento della qualità della vita.

Il problema è determinato dai differenti approcci previsti dalle diverse leggi regionali, vi sono addirittura alcuni casi limite in cui vengono applicate più normative per un medesimo impianto (aeroporto di Malpensa, a cavallo tra Piemonte e Lombardia per esempio).

Esistono inoltre determinate aree in cui risulta necessario poter garantire un’illuminazione verticale di un certo tipo, con conseguente dispersione verso l’alto: basti pensare alle carceri, alle ambasciate o a determinati monumenti.

In questi casi la normativa di riferimento viene difficilmente rispettata.

Una delle normative più approfondite, e considerata tra le più avanzate a livello europeo, è la Legge Regionale della Lombardia n. 17/2000, insieme alle integrazioni successive (in particolare la L.R. n. 38/2004).

La normativa è all’avanguardia per due ordini di ragioni: innanzitutto riguarda tutto il territorio della regione e non solo zone particolari; ed in secondo luogo, utilizza come parametro tecnico l’intensità luminosa degli apparecchi, e non la misura del flusso disperso verso l’alto.

In particolare si identificano quali devono essere le caratteristiche tecniche degli impianti, con criteri aggiuntivi per situazioni specifiche, nonché la rigida disciplina delle deroghe.

Tale legge individua il criterio della “zero luce verso l’alto”, per cui non l’intensità luminosa non può superare lo 0 sopra la linea dell’orizzonte.

Questa tipologia di criterio è stata recepita da altre regioni, in particolare tutte quelle che sono state promulgate dopo il 2000, ed anche da altre nazioni europee.

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bonifica semplificata e procedura semplificata

Procedura semplificata di bonifica Ex Art. 242 bis

Con il D. L. n. 91 del 2014 è stato introdotto nel Testo Unico ambientale l’art. 242-bis, rubricato “Procedura semplificata per le operazioni di bonifica e messa in sicurezza”, in aggiunta alla previsione di cui all’art. 249 di procedure semplificate di intervento riportate nell’Allegato 4 alla Parte Quarta del Testo Unico per le aree contaminate di ridotte dimensioni.

La procedura semplificata di cui all’art. 242-bis prevede che l’interessato a effettuare, a proprie spese, interventi di bonifica del suolo con riduzione della contaminazione ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) possa omettere la fase di preparazione ed esecuzione del piano di caratterizzazione e anche la fase dell’analisi del rischio sito-specifica e possa quindi presentare alla Regione direttamente uno progetto operativo di bonifica con indicazione dettagliata degli interventi programmati e delle relative tempistiche.

Entro 90 giorni la Regione, a seguito della convocazione dell’apposita conferenza di servizi, adotta la determinazione conclusiva che sostituisce a tutti di effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato.

Non oltre 30 giorni dalla comunicazione dell’atto di assenso, il soggetto interessato comunica la data di avvio dell’esecuzione della bonifica, la quale si deve concludere nei successivi dodici mesi, salva eventuale proroga non superiore a sei mesi. Qualora le operazioni di bonifica non risultino ultimate entro tale termine, deve essere avviato il procedimento ordinario.

Nel caso in cui le operazione si siano concluse nel termine previsto, l’interessato prepara e sottopone all’approvazione degli enti locali competenti il piano di caratterizzazione al fine di verificare il conseguimento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione della matrice suolo per la specifica destinazione d’uso.

Una volta approvato il piano nei successivi 45 giorni, l’esecuzione è effettuata nel termine di ulteriori 45 giorni in contraddittorio con l’ ARPA territorialmente competente.

La validazione dei risultati della caratterizzazione da parte dell’ARPA, attestante il conseguimento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione nei suoli, costituisce certificazione dell’avvenuta bonifica del suolo.

Ove i risultati della caratterizzazione dimostrino che non sono stati conseguiti i valori di concentrazione soglia di contaminazione, l’ARPA notifica le difformita’ riscontrate all’operatore interessato, il quale deve presentare, entro 45 giorni, le necessarie integrazioni al progetto di bonifica “che e’ istruito nel rispetto delle procedure ordinarie ai sensi degli articoli 242 o 252”, con il passaggio, quindi, all’analisi di rischio sito-specifica sulla base del piano di caratterizzazione comunque approvato ed eseguito in procedura semplificata, o almeno così può interpretarsi, a parere di chi scrive, la formulazione non cristallina della norma di cui all’art. 242-bis comma 4.

Ad ogni modo la procedura semplificata in esame non è applicabile alle acque di falda, che restano comunque soggette alla procedura ordinaria.

Nonostante sia evidente il positivo intento del Legislatore di incentivare un’accellerazione dei tempi impiegati per le operazioni di bonifica, sono state espresse alcune perplessità in merito all’opportunità e alla fattibilità, anche economica, della procedura semplificata.

In particolare si sottolinea che la scelta di redigere un progetto operativo di bonifica senza aver prima effettuato un’accurata caratterizzazione del sito presenta poche possibilità di successo ed espone quindi al probabile rischio di dover comunque provvedere alle operazioni di bonifica secondo la procedura tradizionale.

Inoltre l’esclusione dell’analisi di rischio sito-specifica comporta sicuramente una semplificazione del procedimento, ma proprio l’analisi di rischio in molti casi aiuta a ridurre la complessità e di riflesso i costi delle operazioni necessarie per la bonifica.

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valutazione incidenza

La valutazione di incidenza ex art. 5 Dpr 357/1997

Di fronte al TAR del Friuli è stata portata una questione relativa alla valutazione di incidenza ex art. 5 D.P.R. n. 357/1997. In particolare, è stato esposto dalla società ricorrente di non aver avuto parere favorevole sulla valutazione, benché fosse stato presentato un progetto agricolo che rispondeva ai dettami dei piani regolatori urbanistici locali.

La Prima Sezione del Tribunale Amministrativo si è pronunciata con la sentenza n. 101 in data 23 marzo 2017. Si è disposto infatti che ai fini della valutazione di incidenza in oggetto, la conformità urbanistica del progetto non è pertinente.

L’istituto invero, è finalizzato alla conservazione dell’habitat e delle specie naturali presenti nel sito di particolare valenza naturalistico-ambientale (come è la zona dove il progetto agricolo doveva avere luogo, le lande carsiche).

Pertanto, anche un intervento edilizio completamente in regola dal punto di vista edilizio-urbanistico potrebbe non ben rapportarsi alle esigenze di conservazione ambientale del sito.

Il parere negativo della Regione Friuli è adeguato e motivato: la zona carsica in questione ha una ricca fauna, non viene sottoposta ad attività agricole da decenni ed andrebbe ad intaccare la flora autoctona.

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inquinamento delle acque

Inquinamento delle acque

Si tratta di una materia assai vasta, che ricomprende la difesa del suolo, la gestione delle risorse idriche e l’inquinamento idrico.

Gli obiettivi della tutela sono la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento delle acque, la protezione delle acque con destinazione particolare ed la sostenibilità delle risorse idriche.

La normativa statale sull’inquinamento delle acque è desumibile dalla parte terza del D.lgs 152/2006.

Il Testo Unico ambientale ha abrogato molti provvedimenti, ma ne ha mantenuto quasi totalmente i contenuti.

Per ciò che riguarda le risorse idriche, si definisce “sistema idrico integrato” l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili.

La normativa pone particolare attenzione sul “ciclo integrato delle acque”, a partire dalla sua captazione per differenti usi, fino alla restituzione ai corpi ricettori, il tutto organizzato nell’ambito di un territorio omogeneo, l’”Ambito Territoriale Ottimale” (A.T.O.).

La difesa del suolo, che comprende anche la fruizione del patrimonio idrico e la tutela degli aspetti ambientali, prevede la suddivisione del territorio in “distretti idrografici”.

Per ciascuno di questi si deve predisporre un “Piano di gestione” che riguardi le valutazioni sullo stato di qualità dei bacini idrografici (ogni distretto è composto da diversi bacini) ed eventualmente i provvedimenti necessari.

I bacini possono essere di rilievo nazionale, interregionale e regionale.

Una disciplina importante è stata introdotta nel 1998 in seguito al disastro franoso del Sarno: inizialmente prevista solo per la Regione Campania, le misure urgenti di prevenzione dal rischio idrogeologico hanno finito per regolare la disciplina sull’intero territorio nazionale (L. n. 267/1998).

Diversi decreti sono stati promulgati per la problematica relativa all’inquinamento delle acque, che sono stati perlopiù assorbiti all’interno del Testo Unico. La tutela viene ricercata attraverso la fissazione dei limiti agli scarichi con il fine di garantire determinate soglie di qualità per il corpo idrico (tenendo conto che esistono comunque dei limiti minimi inderogabili per le sostanze pericolose ex art. 101 del D.lgs 152/2006).

Particolare attenzione va rivolta a quelli che si definiscono corpi idrici significativi, ovvero quelli che vengono tenuto sotto attento monitoraggio, che sono individuati nell’Allegato 1 del Testo Unico (uno di questi sono i corpi idrici sotterranei per esempio).

I parametri vengono rilevati sulla base dell’acqua, del biota e dei sedimenti.

Un’altra disciplina importante riguarda gli scarichi, per i quali è previsto un doppio canale di controllo:

tabellare, dove in base alla provenienza degli scarichi abbiamo limiti diversi che peraltro non possono essere superati, assurgendo così a valori inderogabili.

-a livello regionale con il “Piano di Tutela delle Acque”, a mezzo del quale si prefiggono degli obiettivi di qualità, da cui poi si farà dipendere la scelta dei limiti sulle concentrazioni di sostanze, nonché l’identificazione dei carichi massimi ammissibili nei corpi idrici ricettori.

Si prevede un numero minimo di controlli sugli effluenti risultanti dalla depurazione di acque reflue urbane, sulla base delle dimensioni dell’impianto in questione.

Vengono fatti dei prelievi di campioni di acqua sempre a monte dello scarico che verranno poi confrontati con i limiti individuati dalle tabelle nell’Allegato 5 del D.lgs 152/2006.

L’eventuale superamento è punibile con una sanzione amministrativa da € 3.000 a €30.000, con delle aggravanti (per esempio nel caso in cui le violazioni avvengano in aree con risorse idriche destinate al consumo umano).

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inquinamento odorigeno

Inquinamento odorigeno

Ad oggi non esiste in Italia una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori limite in materia di inquinamento odorigeno.

La legittimità di questo tipo di emissioni viene valutata sulla base del criterio della “stretta tollerabilità”, riconducendo la materia al “getto pericoloso di cose”, fattispecie prevista dall’art. 674 del codice penale.

Tale norma dispone che “chiunque […] provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.

Per la sussistenza del reato, tuttavia, non basta il semplice disturbo, ma è richiesto che l’emissione abbia una potenzialità nociva, ossia possa dirsi presumibilmente diretta ad imbrattare o molestare persone.

L’orientamento maggioritario è stato prima asserito da una sentenza della Corte di Cassazione del 2008 n. 2745, ed è stata confermata da un’altra sentenza della Suprema Corte n. 2240 del 18 gennaio 2017.

Quest’ultima pronuncia dispone che per provare l’attitudine concreta delle sopraddette emissioni a molestare i singoli individui appartenenti alla collettività, il giudice può trarre elementi utili per ritenere sussistente il reato anche solo verificando l’apprezzamento diretto delle conseguenze degli odori su un numero ridotto di persone, anche se altre non le abbiano percepite e senza che sia necessario un accertamento tecnico.

Il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni di odori può ben basarsi allora su dichiarazioni di testimoni, specie se a conoscenza dei fatti, che consistano oggettivamente a quanto percepito dai dichiaranti.

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