Abbandono di rifiuti, deposito incontrollato e discarica abusiva
Il codice dell’ambiente prevede all’art. 255 comma 1 che la condotta di abbandono di rifiuti o deposito incontrollato di rifiuti o di immissione degli stessi nelle acque superficiali o sotterranee costituisce un illecito amministrativo punito con sanzione pecuniaria, mentre all’art. 256 comma 2 stabilisce che le medesime condotte qualora compiute da titolari di imprese o da responsabili di enti integrano un reato contravvenzionale punito alternativamente con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o dell’ammenda da 2 600 a 26 000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi oppure congiuntamente con arresto e ammenda di uguale entità se si tratta di rifiuti pericolosi.
L’art. 256 comma 3 del codice dell’ambiente sanziona chiunque, privato o imprenditore, realizza o gestisce una discarica non autorizzata con la pena congiunta dell’arresto da sei mesi a due anni e dell’ammenda da 2 600 a 26 000 euro se nella discarica vengono smaltiti solo rifiuti non pericolosi e con la pena congiunta dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da 5 000 a 50 000 euro se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi.
Poiché le condotte di abbandono di rifiuti, ma anche deposito incontrollato e discarica si concretano tutte in un’operazione di deposito sul suolo o nel suolo di rifiuti, è assai importante capire quali caratteristiche della condotta siano determinanti ai fini della distinzione tra le diverse ipotesi, soprattutto tra le prime due e la terza, dal momento che abbandono e deposito incontrollato sono sottoposti a uguale trattamento sanzionatorio.
Recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza Cass. pen., sez. III, 11 aprile 2017, n. 18 399, ha fatto un po’ il punto delle sue pronunce e dei suoi orientamenti sul tema.
In assenza di una definizione di discarica nel codice dell’ambiente, la Corte dispone che la norma di cui all’ art. 256 comma 3 va letta in correlazione con il D. Lgs. N. 36 del 2003, recante l’ attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti: in particolare l’art. 2, comma1, lett g) di tale decreto fornisce una definizione della nozione di discarica, ossia un’ “area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno”.
Il D. Lgs. n. 36 del 2003 indica dunque per alcune attività lecite di deposito di rifiuti limiti temporali la cui scadenza comporta la loro qualificazione come attività di discarica, che può essere abusiva e pertanto penalmente rilevante qualora manchi l’apposita autorizzazione rilasciata ai sensi degli artt. 8, 9, 10 del medesimo decreto.
Il legislatore non indica invece come differenziare le condotte di deposito di rifiuti illecite fin dall’origine, quali appunto abbandono di rifiuti o deposito incontrollato, dalle condotte più severamente sanzionate di realizzazione o gestione di discarica abusiva.
Nella sentenza in commento, la Corte sembra voler porre come principio di diritto un unico criterio distintivo tra discarica e abbandono di rifiuti, quello della mera occasionalità della condotta, tuttavia finisce con il fare riferimento a un ventaglio più ampio di modalità e circostanze della condotta da valutare ai fini di una corretta distinzione tra la fattispecie di cui all’art. 256 comma 2 e la fattispecie di cui al comma seguente.
La Cassazione precisa infatti che la discarica richiede una condotta abituale, ossia plurimi conferimenti, ma ammette che il reato di discarica abusiva possa configurarsi anche mediante “una azione ma strutturata, anche se in modo grossolano, e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco”, venendo così in rilievo elementi già valorizzati nelle precedenti pronunce di legittimità, ossia la definitività della collocazione, il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei rifiuti, la considerevole quantità dei rifiuti depositati e dello spazio occupato.
Da ultimo, su specifico motivo di ricorso dedotto dal ricorrente, i giudici di legittimità affermano che il presupporre, per la configurabilità del reato di realizzazione di discarica abusiva, la necessità di effettuazione di opere finalizzate al suo funzionamento escluderebbe irragionevolmente dall’ambito di applicazione della disposizione sanzionatoria i casi in cui non venga eseguita nessuna opera, poiché il sito presenta già tutte le caratteristiche per essere utilizzato quale ricettacolo di rifiuti: l’eventuale realizzazione di opere può confermare la destinazione dell’area a discarica ma non costituisce una condizione necessaria.
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