Comitato dei creditori: cosa dice la norma relativa al compenso
Per comprendere il ruolo del comitato dei creditori nell’ambito di fallimento aziendale, occorre considerare dapprima la normativa ex art. 40 e 41 legge fallimentare: l’art. 40 indica che si tratta di un organo nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di fallimento e solitamente composto da tre o cinque membri rappresentanti i creditori di una data società.
Stando alla disposizione normativa in vigore, è compito dei membri stessi eleggere un presidente entro dieci giorni dall’avvenuta nomina.
Il successivo art. 41 stabilisce i poteri in capo al comitato di vigilanza ed autorizzazione rispetto all’operato del curatore ed all’adozione degli atti adottati dallo stesso nell’esplicarsi delle sue funzioni, successivamente lo stesso articolo riconosce come agli stessi membri spetti un compenso nelle forme e nei modi riconosciuti dall’art. 37 bis terzo comma.
Da un punto di vista sostanziale, per capire l’importanza del ruolo del comitato dei creditori nella procedura di fallimento occorre fare riferimento ad un caso recentemente disciplinato in Cassazione (Cass. Civ., Ord. Sez. I, n. 5672/2021): stando all’orientamento sancito dagli art. 31 e 32 Legge fallimentare, il curatore “ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e possibilità di delegare ad altri specifiche operazioni, previa autorizzazione del comitato dei creditori”.
La Corte d’Appello di Bologna, nel Decreto di Rigetto n. 457/2020 del 15.01.2020, applica in concreto l’art. 125 comma 2 L.F., stabilendo che “è preclusa la legittimazione all’opposizione all’omologazione del concordato fallimentare al creditore che non faccia pervenire la propria dichiarazione di dissenso in cancelleria ex art. 125 comma L.F., ribadendo come in tema di concordato fallimentare assuma rilevanza “il profilo dell’osservanza degli adempimenti prescritti e della correttezza dell’informazione fornita ai creditori attraverso la relazione giurata ed i pareri richiesti all’art. 125 Legge Fallimentare, nonché la verifica delle condizioni approvate nei limiti imposti dalla ragionevole finalità di assicurare un equilibrio tra i diritti del debitore e le legittime pretese dei creditori”.
Fermo restando l’obbligo in capo al giudice delegato, ai sensi dell’art. 125 comma 2 l.fall, di disporre un termine non inferiore a venti e non superiore a trenta giorni entro il quale i creditori devono far pervenire in cancelleria del Tribunale una dichiarazione di dissenso.
In merito allo stabilirsi del compenso che spetterà al curatore fallimentare, occorre richiamare un recente orientamento della Corte Suprema (Cass.Civ., Sez.VI, n. 20430/2019), secondo cui “la liquidazione del compenso del curatore va specificamente motivata mediante l’indicazione dei criteri seguiti ai sensi dell’art. 39 in relazione alla disciplina richiamata, risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione”.
Quid iuris in riferimento al compenso per il comitato?
La normativa di riferimento è l’art. 37 bis terzo comma Legge Fallimentare, che prevede che una volta stabilito il compenso nei confronti del curatore il giudice delegato provvederà a fissare, nei confronti dei membri del comitato dei creditori, un compenso in misura non superiore al dieci per cento liquidato al curatore, compenso che dovrà essere ripartito in parti eguali tra i membri del comitato.
Per quanto concerne la procedura di liquidazione del compenso, occorre notare come non ci sia una legge che preveda espressamente la determinazione della liquidazione dei membri del comitato: stando ad un’interpretazione largamente diffusa in dottrina, trova applicazione la disciplina dell’art. 39 Legge Fallimentare, secondo cui la liquidazione va erogata prima dell’esecuzione del concordato, anche nei riguardi del comitato dei creditori.