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normativa investimenti esteri diretti

Investimenti esteri diretti: il regolamento UE 2019/452

Introduzione

Sull’Official Journal of the European Union del 21.3.2019 è stato pubblicato il testo del regolamento 2019/452 datato 19 marzo che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti diretti esteri all’interno dell’Unione.

Il regolamento diventerà interamente vincolante e direttamente applicabile in ogni Stato Membro l’11 Ottobre 2020, dopo che saranno trascorsi i 18 mesi entro i quali ogni Stato Membro dovrà adeguare la propria disciplina interna.

Il Quadro innovativo previsto dal Regolamento istituisce un meccanismo di cooperazione grazie al quale gli Stati Membri e la Commissione potranno scambiarsi informazioni ed esprimere eventuali preoccupazioni relative ad investimenti specifici.

La nuova disciplina è parte integrante di un più ampio pacchetto di misure volte ad affermare l’agenda europea in materia di scambi e investimenti internazionali con il dichiarato scopo di meglio governare la globalizzazione.

L’intervento normativo, per un verso, può considerarsi un semplice correttivo a un programma che rimane saldamente orientato alla liberalizzazione e all’integrazione dei mercati; per un altro verso, può ritenersi uno dei primi e più organici tentativi di affermare una nuova sovranità europea nell’arena economica globale.

Per investimento estero diretto si intende un investimento, di qualsiasi tipologia, effettuato da parte di un investitore estero al fine di mantenere o stabilire legami durevoli con l’imprenditore o l’impresa destinatari del capitale, volto ad esercitare un’attività economica in uno Stato Membro, con l’inclusione degli investimenti che consentono una partecipazione effettiva alla gestione o al controllo di una società che esercita un’attività economica.

Non è un caso che il contesto in cui nasce l’iniziativa legislativa della Commissione sia caratterizzato da due distinti e almeno parzialmente confliggenti ordini di considerazioni.

Da un lato, l’ordinamento europeo continua a guardare con favore agli investimenti esteri; la posizione è chiaramente ribadita anche nel primo considerando del regolamento, laddove si afferma che “gli investimenti esteri contribuiscono alla crescita dell’Unione rafforzandone la competitività, creando posti di lavoro ed economie di scala…. aprendo novi mercati per le esportazioni dell’Unione”.

Dall’altro, l’ordinamento europeo avverte la necessità di riequilibrare i rapporti con i Paesi terzi, osservando come alla grande apertura dell’Unione a merci e capitali esteri non sempre corrisponda un analogo atteggiamento da parte delle altre nazioni soprattutto dalle maggiori potenze economiche e commerciali.

Ciò nonostante, oggi, 14 Stati Membri su 27, a cominciare da quelli più importanti sul piano politico ed economico, come Francia, Spagna, Germania, Italia ed Austria dispongono di un meccanismo di controllo sugli investimenti esteri, mentre gli altri stanno attuando riforme e/o applicandone di nuovi.

Gli Stati Uniti, già dal 1950, hanno previsto un meccanismo di controllo preventivo sugli investimenti esteri nell’industria della difesa.

Nel 2018, il Foreign Investment Risk Review Modernization Act ha esteso l’ambito di applicazione della disciplina e rafforzato i poteri di controllo del Comitato, con l’obiettivo di proseguire e potenziare l’azione di difesa dell’economia americana dalle acquisizioni ostili di investitori cinesi direttamente o indirettamente riconducibili al governo di Pechino.

In Francia, nel 2019 sono state adottate ulteriori norme sullo screening degli investimenti esteri diretti, nell’ambito di una nuova legislazione nota come “Loi Pacte”, dopo che il settore dei soggetti ad autorizzazione preventiva era stato esteso nel 2018.

In Italia, con i D.L. n. 148/2017, il Governo aveva modificato il controllo degli investimenti, ampliando l’ambito di applicazione del Golden Power qualora siano coinvolti soggetti esterni all’Unione Europea; tale disciplina affidava poteri speciali al Governo nei settori strategici della difesa, della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.

Fondamenta giuridiche

Ai sensi degli impegni sottoscritti dall’Unione e dagli Stati Membri nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), gli investimenti e l’accesso ai mercati di paesi terzi sono liberi.

Ciò nonostante, anche nell’alveo di tali accordi, viene concessa la possibilità di adottare misure restrittive in relazione agli investimenti esteri per ragioni di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, in presenza e nel risetto di determinate circostanze.

Il fattore sicurezza, soprattutto negli ultimi anni, è diventato il centro nevralgico di molteplici controversie che rischiano di minacciare la stessa sopravvivenza dell’OMC.

L’elemento che differenzia un investimento estero diretto da un mero investimento finanziario, almeno su un piano concettuale, risiede nella volontà di costituire, mediante l’investimento stesso, un legame durevole e diretto attraverso cui si consente all’investitore una partecipazione effettiva alla gestione o al controllo dell’impresa destinataria del capitale.

Di cruciale importanza è, inoltre, in quanto inedita nella realtà internazionale e comparata, la definizione di meccanismo di controllo: esso è inteso come quello strumento di applicazione generale, previsto da una legge o da un regolamento, volto a definire le condizioni e le modalità atte ad esaminare, autorizzare, valutare ed eventualmente vietare investimenti esteri diretti per motivi di sicurezza o di ordine pubblico.

Come i meccanismi nazionali di controllo si conformano al Regolamento

Nonostante i tentativi di definizione di un quadro comune in tutti gli Stati Membri, il regolamento disciplina chiaramente la possibilità per gli stessi di mantenere, modificare, o adottare meccanismi di controllo degli investimenti diretti nel proprio territorio nei settori sicurezza ed ordine pubblico.

Di conseguenza, gli Stati membri che siano ad oggi sprovvisti di un meccanismo di controllo possono liberamente decidere di continuare a farne a meno; qualora però gli Stati Membri decidano di istituire un meccanismo di controllo, il Regolamento ne disciplina i principi fondamentali.

Il Regolamento afferma che le regole e le procedure di controllo devono essere trasparenti e non discriminatorie; in tal senso, gli Stati Membri devono stabilire gli elementi in presenza dei quali possa scattare il controllo e, dunque, stabilire in questi casi quali procedure e quali regole applicare.

Deve essere riconosciuta, inoltre, ad investitori esteri e imprese interessate la possibilità di ricorrere contro la decisione di controllo adottata dalle autorità nazionali.

Attraverso queste basiche istruzioni, l’ordinamento europea cerca di assicurare che i sistemi amministrativi di controllo esistenti a livello nazionale siano retti da standard in grado di garantire: certezza del diritto e rispetto del principio di legalità.

Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico, possono essere presi in considerazione i suoi effetti potenziali a livello di:

L’ordinamento europeo rimane estraneo rispetto agli assetti organizzativi ai quali gli Stati Membri affidano i loro meccanismi di controllo; infatti, il Regolamento non impone né la dotazione di adeguate risorse finanziarie e personali, né forme di separazione tra politica e amministrazione.

La codificazione europea dei settori in cui gli investimenti esteri dovrebbero essere sottoposti a controllo serve soprattutto a orientare la discrezionalità dei legislatori e dei governi nazionali al fine di armonizzare il più possibile l’ambito oggettivo di applicazione dei meccanismi di controllo, sia nel loro disegno normativo sia nella prassi attuativa.

Meccanismi di cooperazione tra Commissione e Stati Membri

Il perno su cui ruota l’intera disciplina europea è costituito dalla codificazione delle tecniche di cooperazione, basate su procedimenti amministrativi composti che si svolgono su diversi livelli istituzionali.

La cooperazione segue iter procedimentali differenti a seconda che gli investimenti diretti siano oggetto di controllo da parte degli Stati Membri o invece non siano scrutinati in sede nazionale.

Nel caso in cui l’investimento sia oggetto di controllo da parte dello Stato Membro, incomberà sullo stesso l’obbligo di notificare alla Commissione e agli altri Stati Membri ogni investimento straniero sottoposto a controllo; mentre il procedimento nazionale è normalmente avviato a iniziativa di parte, con la comunicazione da parte dell’investitore estero all’autorità di governo, la sotto-fase procedimentale di scrutinio sovranazionale è aperta d’ufficio, su iniziativa dello Stato membro.

Nel novembre 2017, la Commissione aveva istituito un gruppo di coordinamento in materia di investimenti esteri diretti in entrata, presieduto dalla Commissione e composto dai rappresentati degli Stati Membri, che si occupa:

  • dell’individuazione dei settori e delle attività che presentano implicazioni strategiche per la sicurezza, l’ordine pubblico e/o il controllo delle attività critiche a livello nazionale, a livello transfrontaliero o europeo;
  • dello scambio di informazioni e analisi sugli investimenti esteri diretti, ivi comprese le ragioni per investire, l’origine geografica e le fonti di finanziamento;
  • delle questioni di interesse comune, ivi incluse quelle relative alla parità di trattamento e ai sussidi e alle altre pratiche utilizzate dai Paesi terzi per agevolare le acquisizioni strategiche e le ragioni che impediscono agli investitori europei di acquisire e mantenere tecnologie e fattori di produzione critici;
  • della condivisione delle migliori pratiche e delle esperienze per il controllo degli investimenti esteri diretti;
  • della discussione dell’opportunità di cooperazione con i Paesi terzi con i quali si condividono interessi e sfide in merito alle ripercussioni degli investimenti esteri diretti sulla sicurezza e sull’ordine pubblico;
  • della promozione della convergenza delle politiche, nel rispetto dell’autonomia degli Stati Membri in merito alla decisione di controllare o meno gli investimenti esteri diretti;
  • di ulteriori riflessioni sulle modalità per proteggere le attività europee strategiche;
  • del monitoraggio dell’entrata in vigore del Regolamento proposto e delle questioni connesse alla sua applicazione.

La Commissione Europea, qualora dovesse ritenere che un investimento straniero possa arrecare danni alla sicurezza o all’ordine pubblico di un altro Stato Membro che non ha avviato il meccanismo di controllo, può adottare il relativo parere; la facoltà si tramuta però in dovere se almeno un terzo degli Stati Membri abbia considerato quell’investimento come potenziale minaccia alla sicurezza ed all’ordine pubblico.

La cooperazione è garantita principalmente sul piano procedurale, mentre le prescrizioni di carattere organizzativo sono molto più circoscritte; in particolare, il considerando 27 del Regolamento dispone che ciascuno Stato Membro e la Commissione devono istituire un punto di contatto per l’attuazione della disciplina e predisporre un sistema sicuro e criptato preposto allo scambio di informazioni.

L’impatto del Regolamento su Stati Membri e Paesi Terzi

L’impatto dell’adozione del Regolamento fungerà da incentivo agli Stati Membri che ancora non abbiano un sistema di controllo a dotarsene traendo ispirazione dal funzionamento e dalle migliori pratiche dei meccanismi già esistenti.

Con molta probabilità l’effetto complessivo sarà una race to the top, perché i legislatori saranno spinti ad estendere i settori e gli investimenti scrutinati ed a prendere in considerazione criteri trascurati a livello nazionale fino ad ora.

Tuttavia, tale estensione in termini di poteri conferiti ai singoli Stati Membri viene bilanciata mediante una riduzione delle loro intenzioni; infatti, le autorità nazionali dovranno tenere in adeguata considerazione le osservazioni degli altri Stati Membri nonché i pareri della Commissione assicurando un controllo giurisdizionale delle loro decisioni.

Con l’attuale trend di ri-concentrazione nazionale delle strategie industriali e la regionalizzazione crescente degli orizzonti geopolitici, è da attendersi una intensificazione dei controlli degli investimenti esteri diretti nell’Unione, e nei singoli Stati Membri, a tutti i livelli.

Si tratta in ultima analisi di un approccio/framework ancora embrionale, a fronte di realtà storicamente consolidate e maggiormente incisive come ad esempio negli Usa il Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS), istituito dal Presidente Ford nel 1975 (avente peraltro dal 1988 poteri “vincolanti”).

D’altra parte, va tuttavia considerato che nel contesto dell’Unione Europea odierna il livello sovra-nazionale e il metodo intergovernativo convivono, non prefigurandosi ancora un modello centralizzato di “Stati Uniti d’Europa”.

Le decisioni ultime sugli investimenti diretti esteri restano de facto in capo ai singoli Esecutivi nazionali, laddove la Commissione europea mantiene nel sistema disegnato dal regolamento un ruolo ancora relativamente “interlocutorio”.

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