La Cina e lo sviluppo delle imprese statali
In un mondo dominato dalle imprese private, la Cina, con le sue numerose società pubbliche, costituisce un’interessante peculiarità degna di approfondimento.
Il mercato cinese è infatti composto per la grandissima maggioranza da imprese sottoposte a controllo statale, sviluppatesi in un momento storico (ultime decadi del decennio scorso) in cui nel resto del mondo, in seguito all’affermarsi del modello capitalista, fiorivano le imprese private, mentre le imprese pubbliche subivano un costante declino, essendo considerate un simbolo di inefficienza e corruzione.
Al momento della caduta del Muro di Berlino infatti, il modello di società pubbliche sembrava essere sul punto di sparire del tutto dal panorama mondiale, in seguito ad un’ondata di privatizzazioni partita dai paesi occidentali e giunta infine anche nel blocco sovietico e asiatico; solo nell’ultimo ventennio le imprese pubbliche hanno riacquistato importanza e prestigio, soprattutto in seguito alla crisi finanziaria globale innescata dal crollo del mercato immobiliare americano del 2008, in cui sono state utilizzate in alcuni paesi come strumento per rivitalizzare l’economia.
Nel mentre, anche in Cina si è assistito un fenomeno di privatizzazioni negli anni ’90: ma il ruolo egemone del Partito Comunista, orientato a mantenere il proprio ruolo anche all’interno di un’economia di mercato, ha comunque garantito la crescita delle società pubbliche, che sono state recentemente definite dal Presidente Xi Jinping come la base per il “Socialismo con caratteristiche Cinesi”, ossia il modello di mercato tutto cinese ideato da Deng Xiaoping alla fine degli anni ‘70, improntato ad una apertura verso un’economia di mercato ma con il controllo attivo dello Stato; secondo Xi Jinping, le società pubbliche ricoprono un ruolo chiave, essendo uno strumento di supporto al Partito nel governare e sostenere la nazione.
Le imprese pubbliche cinesi fanno capo allo Stato grazie ad un articolata architettura di gruppi e di società capogruppo, sempre ricollegabili in qualche modo allo Stato. A partire dagli anni ’90, il governo cinese ha dato il via alla creazione di 120 gruppi in alcuni settori chiave industriali, come quello automobilistico. Questi gruppi traggono ispirazione dai keiretsu giapponesi e dai chaebol coreani, due modelli di gruppi di società tipici di questi paesi all’epoca in forte crescita, che trovano al loro interno diverse società, ognuna con partecipazioni nelle altre, che intrattengono rapporti commerciali stabili tra di loro. Un modello che garantisce la crescita globale del gruppo, aiutando ogni impresa che ne fa parte. In un modello del genere, il controllo esercitato dallo Stato può decidere come indirizzare le risorse e in quali settori del mercato concentrare gli sforzi. L’idea con cui il governo cinese ha deciso di adottare questa forma era quella di creare un mercato stabile, all’interno del quale emergessero delle società forti e competitive anche sulla scena internazionale.
Come avviene effettivamente il controllo dello Stato sulla singola società? Tutto passa attraverso un organo ad hoc, il SASAC (State-Owned Assets Supervision and Administration Commission), che funge da collegamento tra i vari gruppi e lo Stato. Si tratta di un organo gerarchicamente situato direttamente sotto al Consiglio di Stato, che figura come socio unico delle varie società capogruppo. Le varie capogruppo a loro volta detengono partecipazioni di diverse società sottoposte, e ne coordinano le strategie e la distribuzione delle risorse all’interno del gruppo. Dal momento che le attività delle capogruppo sono dirette dal SASAC, praticamente è lo Stato stesso a guidare l’attività di ogni singola società all’interno del gruppo.
Le singole società all’estremità di questa catena fungono da società rappresentative del gruppo, e le principali società di ciascun gruppo sono iscritte al mercato azionario cinese (mercato delle azioni A), mentre altre sono iscritte sul mercato di Hong Kong o altri mercati esteri. Per dare un’idea dell’estensione nel mercato di queste società, si consideri che queste società rappresentano il 31% del totale delle società iscritte al mercato delle azioni A, che il 71% del reddito prodotto nel mercato azionario cinese è prodotto da società pubbliche; queste società impiegano 10 milioni di lavoratori, distribuiti sui vari settori tra cui manifatturiero e finanziario (dati del 2017).
Le imprese pubbliche cinesi sono finanziate principalmente attraverso prestiti elargiti da banche controllate dallo Stato. Chiaramente, una struttura come quella illustrata, inserita in un mercato azionario, solleva diverse domande riguardo la governance, che di regola dovrebbe essere riconducibile ai proprietari delle azioni, ma che di fatto viene gestita più o meno indirettamente dal Partito Comunista.
Inoltre, l’imponente rete di società sotto controllo del SASAC solleva dubbi circa la reale capacità di questo organo di coordinare e controllare ogni sottoposta, considerate tutte le diramazioni in cui si articolano i vari gruppi controllati dal SASAC. Il SASAC è un organo particolarmente problematico, definibile come una “burocratica scatola vuota”. Idealmente, secondo le linee guida indicate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico in tema di società pubbliche, lo Stato dovrebbe cercare il più possibile di separare il ruolo dell’investitore da quello di regolatore, allontanando il più possibile le influenze politiche sulle società pubbliche. In Cina avviene esattamente il contrario, dato che al SASAC sono sia assegnate funzioni di regolatore che la possibilità di investire, sotto il diretto controllo dello Stato.
Controllo dello Stato che di fatto equivale a controllo del Partito Comunista Cinese. Il controllo del partito sulle singole società pubbliche non è limitato al ruolo svolto dal SASAC: il diritto societario cinese prevede infatti l’instaurazione di comitati del partito all’interno di ciascuna impresa pubblica. Ciò avviene anche nelle società private, dove l’inserimento di un comitato diretto dal partito è previsto con lo specifico obiettivo di svolgere attività in ossequio della Costituzione del Partito Comunista Cinese.
Questi comitati svolgono perlopiù funzioni di vigilanza, ma possono svolgere anche funzioni prettamente politiche, come quella di controllo sulla fedeltà ai principi del partito da parte dei dipendenti e di propaganda delle scelte politiche del Partito. Sono frequenti le sovrapposizioni dei ruoli: i membri del Partito vengono collocati all’interno delle società in ruoli di pari grado rispetto al loro grado nel Partito.
Nessuna scelta direzionale dell’attività societaria è presa senza l’avallo del Partito, il quale, tra le altre cose, influenza le decisioni riguardanti la nomina, la remunerazione, la rimozione e la supervisione dei manager e ovviamente le principali strategie di business. Il controllo è ovviamente tanto più forte quanto è vicina gerarchicamente la società al SASAC: più gradi di separazione ci sono tra il Partito e la società, maggiori sono le libertà decisionali dei manager; resta fermo il fatto che per quanto questi manager possano godere di maggiore autonomia, l’indirizzo generale dell’attività è dato dalle scelte del Partito.
La forza del modello di gruppi di società pubbliche cinesi risiede nel fatto che anche laddove le singole società non siano particolarmente produttive in termini di massimizzazione delle partecipazioni, questo non è considerato un problema rilevante: essendo il gruppo coordinato dal Partito, l’obiettivo generale non è quello di massimizzare i profitti in termini pecuniari e non per lo Stato a livello di singola società, ma di garantire la crescita del gruppo e soprattutto dello Stato. Per questo le società pubbliche costituiscono il mezzo ideale di realizzazione del “Socialismo con caratteristiche Cinesi”, perché il fine ultimo di questi gruppi è quello di accrescere i benefici per il paese, pur operando in un contesto prettamente privatistico. Un esempio del ruolo chiave di queste società per l’intero sistema del paese si può trovare nel compito svolto all’indomani della crisi finanziaria del 2008: il settore delle società pubbliche, grazie ai finanziamenti effettuati da banche statali, è stato utile come stimolo per l’economia in un momento complesso.
Le società pubbliche sono state oggetto di una riforma recente, a partire dall’adozione nel 2015 di alcune dettagliate linee guida finalizzate ad implementare una c.d. “riforma della proprietà mista”, un programma di trasformazione di diverse società pubbliche in società miste. Queste linee guida sono servite al Partito per frenare le potenziali spinte privatistiche e mantenere un controllo efficace nelle società. Le linee guida, emanate dal SASAC e dal Ministero delle Finanze cinese, forniscono dei “consigli” per la modifica degli statuti sociali delle società, che vanno dalle semplici dichiarazioni d’intenti, alla previsione di un obbligo di consultare il Partito prima di prendere importanti decisioni. In seguito a questa riforma, le società pubbliche sono ora in tensione tra la dimensione privata e quella pubblica, in un’economia dove il confine tra pubblico e private rimane comunque labile, dato il controllo esercitato dal Partito anche nel settore privato. Questo mette il Governo cinese di fronte alla sfida di trovare un equilibrio tra il sostenere la crescita delle aziende innovative e il mantenere il controllo sulle aziende di maggiori dimensioni e di maggior successo.
Lo sviluppo di questo modello di società è coinciso con un periodo di fortissima crescita economica per il paese, e gli studiosi hanno offerto diverse teorie per giustificare questa connessione. La Cina infatti, la contrario di altre economie in via di sviluppo attuanti politiche industriali nazionali naufragate nel tempo a causa di corruzione e clientelismo, è riuscita a mantenere un trend di crescita. Ciò può derivare dal fatto che il governo centrale ha incentivato i governi locali a sperimentare diverse politiche industriali, non dettando una linea comune; inoltre la Cina ha saputo prendere il meglio e imitare le vicine economie in espansione in modo efficace, guidate anch’esse da politiche istituzionali.
Ora che la situazione economica cinese è cambiata rispetto al momento dell’ascesa di questo tipo di società, con una crescita non più vertiginosa e altri problemi interni come il forte incremento demografico, la Cina si trova di fronte al bivio, se continuare su questa stessa strada e continuare a puntare su società pubbliche, o insistere in questa opera di trasformazione e abbracciare del tutto il modello privatistico, anche perché alcune delle migliori compagnie cinesi sono private, come Alibaba o Huawei (anche se su quest’ultima sono forti i dubbi riguardo alla reale proprietà), e questo potrebbe spingere lo stato ad accettare l’adozione di una pura economia di mercato. Sembra comunque improbabile che lo stato abbandoni del tutto l’idea di controllare in qualche modo il controllo del mercato interno.
Si tratta in ogni caso di un modello che ha prodotto grandi risultati per la Cina, ma che ha comportato diversi problemi per il resto del mondo chiamato a interagire con questo modello. L’intervento così presente dello Stato, ma al tempo stesso poco trasparente, solleva grossi dubbi ogni volta che società cinesi compiono grandi investimenti all’estero, dubbi riguardanti le reali intenzioni degli acquirenti, se economiche o politiche.
Vedremo in futuro quali saranno le scelte dello Stato cinese, e chissà che l’attuale situazione di epidemia di Covid-19 non possa intervenire in qualche modo a condizionare queste scelte: l’aiuto fornito dalla Cina all’Italia, in difficoltà con l’epidemia, può essere un tentativo di cambiare l’immagine che ha della Cina la comunità internazionale, finalizzato a fugare eventuali dubbi in relazione alle attività delle società pubbliche cinesi all’estero.