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Il delitto di disastro ambientale, art. 452-quater c.p.

Il delitto di disastro ambientale, art. 452-quater c.p.

AmbientaleGennaio 31, 2020

I gravi fatti determinanti la lesione estremamente significativa della componente ambientale, con conseguenti dannose ripercussioni sulla salute e l’incolumità pubblica, sono stati storicamente e giuridicamente riportati all’interno dell’alveo operativo del polivalente art. 434 c.p.

Ciò è stato possibile grazie alle proprietà elastiche di tale disposizione; tramite la clausola aperta presente all’interno del testo normativo, enucleata con l’espressione altri disastri, la previsione normativa può ricomprendere nella propria sfera di efficacia tutti quegli eventi forieri di devastanti conseguenze, specialmente dal punto di vista ambientale ed ecosistemico, e non rinvenienti la propria sedes materiae in alcuna norma specifica.

Purtuttavia, la forzatura interpretativa avvertita da parte di diverse posizioni ermeneutiche all’interno del nostro ordinamento giuridico, ha indotto il legislatore ad intervenire, non esclusivamente sull’evento di disastro ambientale, ma su tutti i comportamenti qualificabili come astrattamente delittuosi ed impattanti negativamente sul sistema ambientale.

Diverse posizioni, specialmente dottrinarie, ritenevano infatti inadeguato ed incongrua l’applicazione dell’art. 434 c.p.

Le caratteristiche dei disastri delineati e disciplinati all’interno del Titolo VI del codice Rocco, dedicato specificamente ai delitti contro l’incolumità pubblica, mal si attanagliavano ai disastri intervenuti in ambito ambientale.

I caratteri tipici di istantanea verificazione e di enorme dimensione perimetrale dei disastri oggetto di disciplina normativa ad opera del Titolo VI risultavano, difatti, secondo una particolare scuola di pensiero, difficilmente rinvenibili nei disastri ambientali, sovente concretizzati a seguito di ripetute e minime condotte di sversamento o di ogni altro genere idonee, nel corso più o meno prolungato del tempo e con la loro ripetizione, ad ingenerare un danno alle componenti ambientali o biologiche.

Accanto a tale inadeguatezza ontologico-strutturale, si poneva altresì la problematica sanzione di tali gravi condotte disastrose con l’applicazione delle fattispecie contravvenzionali, allora e tuttora, contenute all’interno del d.lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale), per la loro limitata portata sanzionatoria, tipico elemento delle contravvenzioni se rapportate ai delitti, avevano sortito un limitato (rectius: insussistente) effetto deterrente e general-preventivo.

Proprio in tale contesto interveniva il legislatore nazionale, con la l. 68/2015, che ha introdotto all’interno del codice penale l’interno Titolo VI-bis, interamente dedicato alle fattispecie delittuose contro l’ambiente (reati ambientali). Oggetto di tale codificazione è stata altresì la fattispecie delittuosa dell’ art. 452-quater c.p., rubricato disastro ambientale che, nelle intenzioni legislative dovrebbe sopperire all’avvertito vuoto di tutela normativa di tali situazioni o sostituire il meccanismo di ricorso all’art. 434 c.p., ritenuto, da diverse posizioni ermeneutiche, come anzidetto, inadeguato a regolamentare efficacemente simili fattispecie.

In quanto codificato come delitto, con le annesse cornici edittali sanzionatorie più gravi rispetto alle mere fattispecie contravvenzionali del TUA, per di più, l’art. 452-quater c.p. dovrebbe presentare una portata deterrente maggiormente intensa rispetto a quanto dettato dal d.lgs. 152/2006.

Occorre immediatamente osservare, ad onor di cronaca, come la portata realmente innovativa viene istantaneamente ridimensionata da parte della stessa fattispecie. L’art. 452-quater c.p.

si apre difatti, al primo comma, con quella che ha tutta l’apparenza di essere una clausola di riserva.

La norma specifica infatti come la propria portata operativa sia esclusa al ricorrere dei “casi previsti dall’art. 434 c.p.”. L’inserimento di tale dizione ha fatto dubitare molteplici interpreti sulla reale volontà e portata innovativa della disposizione de qua.

In tal senso difatti, è parso irrazionale o, quantomeno, inoculato inserire in apertura della norma che avrebbe dovuto determinare il definitivo superamento dei contrasti legati all’applicazione giurisprudenziale dell’art. 434 c.p. ai casi di disastro ambientale, il riferimento esplicito ad una primaria operatività e prevalenza proprio di tale ultimo reato rispetto al delitto di nuova introduzione.

Già tale banale scelta legislativa pertanto, pare immediatamente in grado di produrre un effetto di dirompente restringimento delle ipotesi applicative del nuovo ecodelitto, con conseguente annichilimento della innovatività del medesimo.

Proseguendo nell’analisi della norma, poi, si osserva come la stessa faccia riferimento all’interno del proprio corpus proprio all’evento di disastro ambientale, di cui viene data la nozione rilevante ai fini dell’applicazione della fattispecie delittuosa al II comma.

La definizione di disastro ambientale viene fornita identificandone sostanzialmente l’effetto ultimo prodotto, rinvenuto alternativamente:

  1. nell’alterazione irreversibile di un ecosistema
  2. nell’ alterazione dell’ equilibrio di un ecosistema, la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali
  3. nell’offesa alla pubblica incolumità, in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero di persone offese o esposte a pericolo.

L’enucleazione di tali eventi (che costituiscono caratteristica specifica e tipica del disastro ambientale, al ricorrere alternativo di uno solo di essi) ha certamente posto rilevanti riflessioni.

Anzitutto, l’elaborazione del II comma della fattispecie delittuosa pone un punto importante all’interno dell’annoso dibattito, tutt’ora sussistente all’interno del nostro ordinamento, circa una tutela dell’ambiente fondata su di una visione antropocentrica ovvero ecocentrica.

Da sempre si scontrano infatti le correnti di pensiero che, ispirandosi alla prima delle due posizioni da ultimo menzionate, intendono la tutela del bene ambientale in quanto funzionale al soddisfacimento dei bisogni umani, vengono fatte recedere rispetto all’altra concezione, quella ecocentrica, che si ispira ad una tutela ambientale in quanto tale, indifferentemente dalla utilità umana che possa trarsi dal bene ambientale, accolta nelle due ipotesi di cui al II comma dell’art. 452-quater c.p.

Al di là infatti, dell’ultima ipotesi del medesimo comma, il disastro ambientale rinviene una propria autonoma rilevanza indifferentemente dalla lesione o dalla messa in pericolo di persone umane, valorizzando la componente ambientale (equilibrio di un ecosistema) in sé e per sé.

Una sintetica riflessione è opportuna sulla formulazione del secondo evento, facente menzione alla onerosità ed eccezionalità degli strumenti per la eliminazione dell’alterazione ecosistemica.

Nell’elaborazione di questa parte della norma il legislatore ha utilizzato la “e” di congiunzione, richiedendo pertanto, per la effettiva rilevanza delittuosa del disastro ambientale, la sussistenza di entrambe le caratteristiche che si legano agli interventi di ripristino: la particolare onerosità e la eccezionalità degli interventi.

Va da sé che la congiunzione usata ridimensiona notevolmente l’operatività della norma, escludendo la fattispecie delittuosa ogniqualvolta il disastro richieda interventi particolarmente onerosi ma non eccezionali, o viceversa.

Sarebbe bastato, verosimilmente, l’utilizzo di formule che ponessero le due condizioni in situazione di alternatività per potenziare la capacità della norma e la sua operatività.

Come detto, peraltro, altro elemento di contatto con la fattispecie di “disastro innominato” dell’art. 434 c.p. si rinviene nella elaborazione dell’ultimo evento costituente disastro ambientale, che riprende specificamente le caratteristiche dei disastri del Titolo VI, che resta però alternativo e residuale per l’operatività della fattispecie delittuosa.

La nuova formulazione delittuosa del disastro ambientale presenta pertanto luci ed ombre di non asignificativa portata, dovendo attendersi, oltre alle concrete applicazioni giurisprudenziali, più che altro, la formazione di concreti indirizzi da parte della Suprema Corte e la enucleazione giurisprudenziale dei principi di diritto in ordine alla applicazione ed operatività della norma elaborata dal legislatore nel 2015.

In realtà, una prima applicazione e i primi chiarimenti, comprendenti altresì le prime problematiche, si sono avute a seguito della emanazione della sentenza 18 giugno 2018 n. 29901, da parte della III sezione penale.

All’interno di tale pronuncia, difatti, i giudici di legittimità hanno anzitutto chiarito i rapporti sussistenti tra la nuova fattispecie incriminatrice e la precedente norma utilizzata per caratterizzare penalmente le situazioni di disastro ambientale, come visto, costituita dall’art. 434 c.p.

Il giudice nomofilattico ha infatti sostenuto come il nuovo delitto di disastro ambientale debba intendersi come novellato al fine di tutelare il bene ambientale nel suo complesso, prendendo in considerazione l’incolumità della collettività solo come diretta conseguenza di una condotta materialmente pericolosa per il primo bene citato, al contrario della fattispecie di “disastro innominato” che, viceversa, ha come oggettività giuridica cautelata proprio la vita e l’incolumità psicofisica di un numero indeterminato di persone.

Tale distinzione viene confermata all’interno del dictum giudiziale, osservando come a suffragio della interpretazione formata da parte del giudice di ultima istanza vengano in soccorso diversi argomenti, tra i quali:

  • l’argomento topografico, posto che l’art. 452-quaterp. è stato introdotto dal legislatore penale insieme agli altri reati che aggrediscono il bene ambientale e fa parte dunque del complesso normativo di cui al Titolo VI-bis;
  • l’argomento sistematico, stante la necessità di distinguere compiutamente l’ operatività della fattispecie in esame da quella di disastro innominato, collocata all’interno del Titolo VI;
  • l’argomento testuale, posto che l’art. 452-quater presenta una struttura terminologica e semantica da cui emerge la voluntas legis di regolamentare situazioni vulneranti il bene ambientale.

Precipitato logico rilevato dalla Corte è che l’incolumità pubblica, bene giuridico ritenuto (sia pure in termini non certo pacifici) tutelato dai delitti di cui al Titolo VI del codice penale, costituisca un semplice eventuale danno ambientale (rectius pericolo) derivante da condotte orientate ad aggressioni di un diverso bene giuridico, rappresentato dall’ambiente (“Va però rilevato che la collocazione di tale condotta nell’ambito dello specifico delitto di disastro ambientale deve necessariamente ritenersi riferita a comportamenti comunque incidenti sull’ambiente, rispetto ai quali il pericolo per la pubblica incolumità rappresenta una diretta conseguenza, pur in assenza delle altre situazioni contemplate dalla norma“).

Di conseguenza, ritiene la Corte di Cassazione, anche l’ipotesi contemplata dal nuovo delitto di disastro ambientale astrattamente sovrapponibile, con conseguente potenziale appiattimento della fattispecie su quella originariamente utilizzata dalla giurisprudenza per regolamentare i casi di disastro ambientale, al reato di “…altro disastro”, ovverosia quello descritto all’art. 452-quater, II comma, n. 3 c.p., deve necessariamente essere qualificato come autonomo, posto che involge una condotta che, sia pur incidente e potenzialmente pregiudicante l’incolumità pubblica, ha come esclusivo bene giuridico tutelato il bene ambientale e le sue componenti biologiche, configurandosi il valore prima menzionato come mera conseguenza della condotta incriminata (“il delitto di disastro ambientale ha, quale oggetto di tutela, la integrità ambientale ed in ciò si distingue, peraltro, dal disastro innominato di cui all’art. 434 c.p.“).

Con le affermazioni di principio la Cassazione tenta, ordunque, di ripristinare la portata operativa dell’art. 434 c.p. che, a fronte del maldestro inserimento da parte del legislatore di una clausola di sussidiarietà all’interno dell’art. 452-quater c.p., sembrava non aver perso la sua funzione di valvola di sicurezza in materia di disastri ambientali, funzione dapprima attribuita e poi avallata da parte della giurisprudenza e che, seppur forzata secondo talune posizioni ermeneutiche, era risultata necessitata, necessità che (pare) si sia dissolta con l’intervento legislativo 68/2015.

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