Modello 231: cosa dice la sentenza n. 3157/2020
Con la recente sentenza n. 3157/2020, la Corte di Cassazione ha confermato che in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti (D.Lgs. 231/2001), l’interesse e il vantaggio vanno valutati in riferimento alla condotta tenuta dall’ente, e non all’esito della stessa.
Prima di analizzare la sentenza, pare opportuno un breve cenno: segnatamente il D.Lgs 231/2001 fa discendere la responsabilità dell’ente dalla commissione di un illecito amministrativo collegato ad un cd “reato presupposto”, che l’autore – persona fisica commette nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
I requisiti dell’interesse e del vantaggio, diversi tra loro, richiedono una valutazione differente: il primo va valutato in senso soggettivo, con un’analisi ex ante, mentre il secondo afferisce al piano oggettivo, valutandone l’entità ex post.
Sostanzialmente, la responsabilità dell’ente non deriva propriamente dalla commissione del reato, ma dal non aver provveduto ad eliminare le carenze strutturali idonee a favorire la commissione del reato o nella mancata vigilanza sul comportamento delle persone fisiche che lo compongono. Lo strumento che gli enti possono azionare per prevenire queste situazioni di rischio è rappresentato essenzialmente dai modelli di organizzazione e gestione, che se verificati idonei a prevenire reati, liberano l’ente, per l’appunto, da ogni responsabilità.
I requisiti dell’interesse e del vantaggio erano perfettamente coerenti con i reati inseriti inizialmente nel catalogo dei reati presupposto, ma al momento dell’inserimento dei reati colposi nel catalogo hanno sollevato dubbi di compatibilità: che interesse può avere l’ente ad esempio a causare delle lesioni o la morte di un dipendente?
La risposta che è stata data più volte dalla giurisprudenza (da ultimo: Cass. Pen. sez. IV, n. 43656/2019, Cass. Pen. sez. IV, n. 38363/2018) è che tali requisiti possono essere letti in ottica di risparmio di costi: per cui l’ente non aggiorna le strumentazioni antinfortunistiche, o non effettua la manutenzione periodica, non già per causare infortuni ai dipendenti, ma per risparmiare su tali costi.
Per questo motivo, quando si tratta di reati colposi in ambito 231, i requisiti dell’interesse e del vantaggio vanno valutati con riferimento non all’evento di lesioni e/o la morte del dipendente, bensì alla condotta, perché il risparmio si verifica non con la realizzazione dell’evento, ma già al momento della decisione di non provvedere alla manutenzione.
Lo stesso discorso vale per quanto affermato nella sentenza in commento, in materia ambientale con specifico riferimento ai reati ambientali o ecoreati.
Nel caso in esame, il ricorrente, condannato in appello al pagamento di sanzione amministrativa per gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 5, lett. a), 10, 25 undecies, comma 2, lett. a) n. 1 e 39 del d. lgs. n. 231 del 2001, in relazione al reato ex art. 137 D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale), lamentava come unico motivo di ricorso l’erronea applicazione dell’art. 5 let. a) del D.Lgs. 231/2001, proprio in relazione alla non configurabilità di alcun interesse o vantaggio da parte dell’ente nella commissione del reato, consistente in questo caso nello scarico di acque reflue industriali oltre i limiti consentiti.
Praticamente, l’ente affermava che “sarebbe stato necessario accertare in concreto se l’omissione in termini di aggiornamento tecnologico mediante la predisposizione di strumenti finalizzati alla prevenzione dell’inquinamento rispondesse ex ante ad un interesse della società o avesse consentito di conseguire un vantaggio”; inoltre, bisognava considerare che l’occasionalità della violazione, non compatibile secondo l’ente con un disegno aziendale di risparmio di costi, essendo sempre stata la società in regola con le autorizzazioni.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite Cass. Pen. S.U., n. 38343/2014, ribadendo appunto che l’interesse e il vantaggio, anche in questo caso, vanno riferiti alla condotta, e non all’esito antigiuridico. Trattasi dell’unica interpretazione possibile della norma: un’interpretazione letterale, differente da quella attribuita dal legislatore, sarebbe contraria alla ratio alla base dell’inserimento dei reati colposi nel catalogo 231.
La sentenza delle Sezioni Unite richiamata si riferisce a reati colposi di evento; la sentenza in commento si riferisce invece a reati colposi di mera condotta, e afferma che se tale interpretazione dei requisiti dell’interesse e del vantaggio vale per i reati colposi di evento, a maggior ragione è conforme per i reati colposi di mera condotta come quello ex art. 137 D.Lgs. 152/2006.
Nel caso specifico, la Corte individua l’interesse e il vantaggio per l’ente “sia nel risparmio economico determinato dalla mancata adozione di impianti e dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari cui fa riferimento l’art. 137, sia nell’eliminazione dei tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva”.
In chiusura, preme segnalare per una completa intelligenza dei fatti un’ultima breve considerazione: tra le motivazioni a sostegno del ricorso, l’ente sottolinea la mancanza di una norma analoga all’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 (T.U. Sicurezza sul lavoro) all’interno del D.lgs. 121/2011, cioè il decreto che ha inserito il reato contestato nel catalogo dei reati presupposto del D.Lgs. 231/2001. L’art. 30 del T.U. Sicurezza indica delle linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione, al fine di renderli presuntivamente idonei.
Questo è in effetti uno dei punti più critici per l’applicazione del D.Lgs. 231/2001, ossia la difficoltà di disporre un modello organizzativo che possa essere considerato idoneo ed efficace per prevenire la commissione di reati; una valutazione che viene necessariamente effettuata dal giudice successivamente alla commissione di un reato, tanto che si parla al riguardo di probatio diabolica.
La sentenza in esame non affronta questo tema: per il futuro sarebbe opportuno tuttavia, a parere di chi scrive, un intervento del legislatore, magari proprio su impulso giurisprudenziale, per fornire una soluzione più incisiva e chiara sul tema, per esempio attraverso dei meccanismi di certificazione e valutazione dei modelli 231.
A tal proposito la cura e lo scrupolo che governano l’operato dei professionisti dello Studio Legale P&S permettono di offrire soluzioni ritagliate alla perfezione sulla industry di operatività dell’azienda interessata.