La legittimità delle esclusioni dalla procedura d’appalto: il caso di un operatore economico cinese
Nell’ambiente togato sovranazionale talvolta spirano conclusioni iperboliche, tanto che i giuristi più elevati, entrando in contatto con prospettive inedite, lavorano e manipolano con materie potenti. Il risultato può quindi destare particolari allarmi perché ad orientarlo sono per lo più carismi dotati di pregnanza politica.
E’ quanto accaduto in particolare nella soluzione interpretativa sottoposta ai giudici di Lussemburgo dall’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Athanasios Rantos, l’11 maggio 2023 nella causa C – 266/22, dove un argomento poco codificabile nei riguardi di operatori economici di Stati terzi non firmatari degli accordi di cui all’art. 25 della Direttiva 2014/24, subisce un’evidente rielaborazione in malam partem.
Vittime sacrificali gli importanti principi di uguaglianza, non discriminazione, certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento sanciti dal diritto dell’Unione; la loro forza nominale sta e cade con una assai limitata forza espressiva perché, in caso di esclusione da una procedura di appalto avvenuta sulla base di una normativa nazionale entrata in vigore dopo la pubblicazione del bando di gara, un occulto conflitto di leggi nello spazio li neutralizza, rendendoli inapplicabili all’escluso non firmatario della cit. Direttiva.
L’oggetto del contendere è naturalmente una normativa di recepimento, avendo la prosa curialesca rimesso all’altissima sede giudiziaria, la valutazione della compatibilità con il diritto europeo di una normativa nazionale di recepimento delle disposizioni unionali sull’accesso degli operatori economici stranieri al mercato europeo degli appalti pubblici (art.25 della direttiva appalti 2014/24 e art. 43 della direttiva settori speciali 2014/25).
Come spesso avviene nelle partite integrative della gerarchia codificata, le linee guida stabilite ad un dato livello ultranazionale, sovente s’impongono nella partita successoria.
E così il sotterraneo obbligo di osservare a livello interno degli obblighi assunti a livello internazionale dall’UE, si è concretizzato nelle suddette disposizioni e dal loro obbligo verso le Stazioni appaltanti di garantire la parità di trattamento ai soli operatori economici di paesi terzi firmatari di accordi internazionali su appalti pubblici con l’UE.
Ma oltre quest’effetto immediato, risulta con tutta evidenza altresì un ulteriore conseguenza mediata e cioè la vis actractiva del principio di reciprocità fra Stati; ispirata ai ritmi d’un tempo esatto, vigono forme e termini affinché l’organismo sovranazionale imponendo la propria primazia, induca gli Stati terzi a stipulare accordi internazionali sugli appalti ispirati al principio di libero scambio e di liberalizzazione dei mercati mondiali degli appalti pubblici.
Questa tendenza al monopolio regolativo del resto ha una specifica ragion d’essere, costituendo il mercato interno dell’UE la piazza più importante al mondo con un valore annuo stimato di 2 trilioni di euro (pari al 14% del prodotto interno lordo dell’UE).
In questa tendenza, pertanto, risulta ovvio quanto il legislatore comunitario creda o speri, o lo dia ad intendere, che i regimi stranieri, subendo l’indubbia attrazione di questa opportunità commerciali, come partners di un gioco sociale, aderiscano spontaneamente alle precise regole in materia di aiuti Stato applicabili nell’UE.
La mancata adesione, viceversa, costituendo una precondizione per la condanna ad una sorta di antigarantismo escludente, relega gli Stati partecipanti non firmatari ad una controversa condizione di soggetti latu sensu “chirografari”.
Sennonché, questa condizione dal taglio escludente, nonostante le ombre che la animano, si è tuttavia affermata trovando ampia giustificazione all’interno del percorso argomentativo sviluppato dall’Avvocato generale.
Rebus Sic stantibus, la linea argomentativa parte dal quadro normativo applicabile; e così richiamando la normativa prevalente, in ossequio al principio del Tempus regit actum, la direttiva normativa utilizzabile ad un appalto pubblico viene generalmente individuata in quella in vigore alla data di pubblicazione del bando di gara.
Il suddetto principio, però, sempre nella lettura da parte dell’Avvocatura Generale, subisce degli ulteriori adattamenti e benché ermeneutica e lavoro clinico sono fallibili, l’alta caratura tecnica del Diritto Sovranazionale non rende mai scandaloso l’errore poiché una buona teoria predispone al lavoro serio e stimola discorsi chiari.
In questo senso, pertanto, va letta l’ulteriore estensione effettuata dalla Corte di Strasburgo nella cui diffusa casistica (sentenze nelle cause C‑213/13, Impresa Pizzarotti, punti da 30 a 33; C‑518/17, Rudigier, punti 42 e 43; C‑216/17, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust e Coopservice, punti 45 e 46 e C‑402/18, Tedeschi e Consorzio Stabile Istant Service, punti da 29 a 31), applica le disposizioni della direttiva 2014/24 anche dopo la scadenza del relativo termine di trasposizione, anche laddove le stesse non siano state effettivamente trasposte.
La conseguenza di questa impostazione è la sua diretta applicabilità nel caso di specie, stante l’avvenuta trasposizione delle cit. direttive (2014/24) successivamente alla scadenza del termine di trasposizione nell’ordinamento interno, indipendentemente che la stessa sia stata trasposta solo tardivamente (questo perché l’Autorità per le riforme ferroviarie rumena (“ARF”), ente aggiudicatore in Romania, decideva di escludere dalla gara un consorzio capeggiato dalla cinese CRRC Qingdao Sifang – in cordata con la rumena Astra Vagoane Călători SA – a motivo della localizzazione in Cina della sede sociale di tale società).
E’ in questa cornice che l’AG passa successivamente ad affrontare il topos della questione e cioè l’ambito di applicazione delle disposizioni eurononiali sotto il profilo soggettivo, stabilendo cioè se il consorzio guida cinese, rientrando in tale ambito, possa conseguentemente invocare i correlati principi e le norme sanciti dal diritto dell’UE.
Alla luce di quanto esposto sopra, ed ai sensi del cit. art. 25 della direttiva, solo gli operatori economici di paesi terzi firmatari degli accordi internazionali, hanno diritto di ricevere un trattamento “non meno favorevole” di quello concesso agli operatori economici degli Stati membri.
Analoga conclusione sia nel considerando 10 del Regolamento (UE) 2022/1031 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 giugno 2022 relativo all’eccesso di operatori economici, beni e servizi di paesi terzi ai mercati degli appalti pubblici e delle concessioni dell’Unione e alle procedure a sostegno dei negoziati sull’accesso di operatori economici, beni e servizi dell’Unione ai mercati degli appalti pubblici e delle concessioni dei paesi terzi (c.d. “regolamento IPI”), che nella disciplina di cui agli artt. 62 e 114 TFUE, che rappresentano la base giuridica della direttiva 2014/14, ed ai sensi dei quali la disciplina delle libertà concernenti il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi, non sono applicabili ai servizi ed alle società originari di paesi terzi.
Nella clinica di quest’argomentazione, la lapidaria conclusione vista in apertura e che ha indotto l’AG a rimettere la questione ermeneutica alla pregiudizialità della Corte di Strasburgo.