Responsabilità Liquidatore Fallimentare: cosa dice la normativa
Un argomento che sta acquisendo una crescente importanza a livello giurisprudenziale, tenuto anche conto della crisi economica derivante dalla pandemia di Covid-19, attiene alla responsabilità del liquidatore fallimentare in materia di crisi di impresa.
Per capire l’argomento occorre fare riferimento alla previsione codicistica governante la normativa in questione, ovvero sia l’art.2489 cod.civ. relativamente ai poteri del liquidatore.
Il comma 2 della sopra menzionata disposizione legislativa pone un distinguo tra gli atti non comportanti la responsabilità del liquidatore fallimentare, ovvero sia gli atti necessari all’espletamento del proprio compito (es. atto di conservazione del patrimonio sociale), e gli atti comportanti il sorgere di responsabilità in capo al liquidatore (es. un atto di ricapitalizzazione in quanto eccedente l’ordinaria amministrazione è considerabile quale fonte di responsabilità relativamente alla posizione del curatore).
Al fine di compiere un’accurata analisi in senso sostanziale dell’espletazione delle attività compiute da parte del commissario in fase di liquidazione, occorre prendere a riferimento la disposizione dell’art.204 Legge Fallimentare: la presente previsione stabilisce come il liquidatore debba procedere, sotto la supervisione dei membri del comitato di sorveglianza, a sottoporre all’inventario i beni in liquidazione l’inventario, e quindi garantire il pieno soddisfacimento delle pretese avanzate da parte dei creditori sociali.
Un orientamento che trova le sue origini nel Common Law recentemente affermato dalla giurisprudenza (Trib. Ordinario di Milano, sentenza n.5546/2021) ed ormai consolidato è quello della business judgement rule, ovvero l’insindacabilità degli atti adottati da un amministratore di società ad opera della autorità giudiziaria, salvo il caso in cui le decisioni adottate dall’organo apicale siano caratterizzate da manifesta irragionevolezza e presentino ripercussioni recanti grave pregiudizio alla stabilità economica della società.
La dottrina ed anche la giurisprudenza ritengono che costituisca un threshold criteria in senso omissivo, al fine di valutare l’imputabilità dell’amministratore in senso omissivo per grave ed immediato pregiudizio arrecato alla società, il fatto che lo stesso non abbia provveduto ad avvalersi di un consulente specializzato nel settore allo scopo di evitare o quantomeno limitare il più possibile i risvolti derivanti dall’adozione di una decisione nell’interesse societario.
Pertanto da quale organo societario ed a quali condizioni si articola il potere del liquidatore? Per capire a fondo la normativa, occorre assurgere a riferimento il contenuto della disposizione statutaria disciplinante i poteri del liquidatore e la relativa esplicazione.
L’atto di nomina di un liquidatore avviene tramite apposita delibera assembleare che stabilisca espressamente come lo stesso possa esercitare i propri poteri limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione e conservazione del patrimonio sociale di modo che i creditori possano vedere soddisfatte le proprie ragioni.
In merito all’esercizio del potere in senso sostanziale, al soggetto incaricato a mezzo delibera assembleare verrà riconosciuta, tanto all’interno dello statuto della società quanto nell’apposita delibera, massima discrezionalità nella fase relativa all’adozione di misure concernenti la liquidazione dell’attivo patrimoniale o l’estinzione di debiti sociali.
Si può pertanto ritenere che il liquidatore possa essere ritenuto un amministratore de facto? L’amministratore agisce in qualità di dirigente, rappresentante la sfera di interessi di una persona giuridica al fine di conseguire l’oggetto sociale, quindi un profitto poi oggetto di ripartizione tra soci, il liquidatore è considerabile come un soggetto giuridico terzo rispetto alla compagine sociale agente al fine di garantire la conservazione patrimoniale al fine di adempiere alle obbligazioni nei confronti dei terzi creditori.