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videosorveglianza e privacy nel privato

Videosorveglianza e Privacy in ambito privato

La controversia

Nella causa dinnanzi la Corte di Giustizia UE Sez. Terza in data 11 dicembre 2019, il signor T.K., un proprietario di un immobile parte di un condominio, ha ritenuto che l’installazione di telecamere all’interno della struttura adottata a seguito di assemblea condominiale, ed allo scopo di prevenire il verificarsi di furti ed atti vandalici, fosse un’illegittima ingerenza nella sfera della privacy.

Analizzando il petitum della questione è evidente come emerga la necessità di ponderare un bilanciamento contrapposto tra due esigenze: da un lato l’interesse della collettività a veder soddisfatta un’esigenza di sicurezza, dall’altro l’interesse del singolo individuo affinché il diritto al rispetto della propria vita privata non venga violato.

La normativa su Videosorveglianza e Privacy

La Corte di Giustizia UE, al fine di risolvere la questione, ritiene che la normativa di riferimento debba essere il General Data Protection Regulation, Regolamento adottato nel 2016 e poi successivamente entrato in vigore nel 2018.

Questa legge ha indubbiamente rappresentato un enorme step normativo rispetto allo strumento legislativo precedente, la Direttiva 95/46/CE, per due ragioni:

  1. la circostanza che il Regolamento, diversamente dalla Direttiva, non abbia bisogno di alcuna normativa interna di trasposizione.
  2. Il fatto che questo strumento, all’interno dell’art. 4, presenti la nozione di consenso dell’interessato (in questo caso il signor T.K.) come “manifestazione di volontà libera, specifica e inequivocabile dell’interessato stesso, con la quale il soggetto privato manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento”.

Nel presente caso la previsione legislativa di rilievo è l’art. 6 del GDPR, governante la liceità del trattamento: in particolar modo, al paragrafo 1, emerge in applicazione al presente caso un contrasto interno tra la lettera a, che stabilisce come l’interessato ha espresso il consenso al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità e la lettera f, che chiarisce come il trattamento sia “necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi,  a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore”.

Ne consegue che il titolare del trattamento, al fine di valutare efficacemente gli interessi in gioco e conseguentemente ottenere un adeguato bilanciamento dei vari interessi contrapposti, deve attenersi a due articoli di fondamentale importanza contenuti all’interno del GDPR:

  1. L’art. 5 attinente ai seguenti principi: a) indicazione di finalità del trattamento, b) necessità del trattamento, c) non prevalenza del diritto alla persona interessata rispetto al legittimo titolare del bilanciamento nei contrapposti interessi.
  2. L’art. 14 relativamente alle informazioni da fornire qualora i dati non siano stati ottenuti presso l’interessato. Il paragrafo 2 lettera b disciplina, quale condizione di obbligatorietà nei confronti del titolare del trattamento, il fatto che il trattamento si basi sulla normativa dettata all’articolo 6 paragrafo 1 lettera f.

Qual è il problema sollevato nella Corte di Lussemburgo? Il fatto che non esista, a livello di diritto primario e derivato, e che pertanto non trovi disciplina la nozione di “interesse legittimo”.

Nel presente caso si ritiene che si possa qualificare la nozione di “interesse legittimo” come l’insieme di fattori giuridici ed economici omnicomprensivi di varie libertà, tra cui la libertà di opinione ed informazione, oppure il diritto all’oblio e recentemente disciplinate a livello di giurisprudenza comunitaria, intese in senso estensivo anche a soggetti terzi come i familiari del titolare.

Il ruolo della Carta dei Diritti Fondamentali

In stretta correlazione con la normativa di diritto comunitario va considerata la Carta dei Diritti Fondamentali, meglio nota nel mondo giurisprudenziale come Carta di Nizza, adottata dalla CE nel Dicembre del 2000.

Come stabilito all’interno dell’articolo 52, la clausola di equivalenza dispone che “laddove la Carta dei diritti fondamentali contenga diritti corrispondentemente garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli garantiti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

Trovano applicazione al presente caso gli articoli 7 ed 8, disciplinanti rispettivamente il rispetto alla propria vita privata e familiare ed il diritto di ogni persona alla protezione dei dati a carattere personale che la riguardano.

Questa previsione trova applicazione per il fatto che l’UE non abbia ratificato la CEDU, di cui ne sono parte solamente i singoli stati, ed abbia ritenuto idoneo estendere la protezione individuale dei diritti umani anche a livello comunitario.

Il principio si potrebbe anche correlare alla necessità di stabilire i criteri per operare un corretto bilanciamento tra il diritto dell’interessato al corretto utilizzo dei propri dati personali e la necessità del titolare del trattamento di utilizzare i medesimi per una finalità giustificata nell’ordinamento.

Pertanto, si può ritenere che un corretto utilizzo dei dati comporti il fatto che l’interessato non subisca discriminazioni, un pregiudizio professionale, un furto d’identità, o qualsiasi altra azione recante un danno economico e morale alla sfera attinente la vita privata.

Conclusioni

Nel decidere la questione, la Corte di Lussemburgo articola il suo ragionamento enucleando le tre condizioni di liceità del trattamento:

  1. legittimo interesse;
  2. necessità;
  3. bilanciamento degli opposti interessi.
  • Legittimo interesse

Nell’analisi del primo profilo i giudici analizzano il profilo di legittimità dell’art.6 paragrafo a lettera f del GDPR; essi ritengono che sia una fattispecie normativa pienamente applicabile al caso concreto in quanto i gestori del condominio hanno ritenuto che fosse necessario dotare la struttura di telecamere al fine di implementare un rafforzamento della tutela dei singoli cittadini abitanti la struttura.

L’aspetto più interessante dell’analisi si evince dal fatto che i giudici applichino in maniera estensiva la nozione di legittimo interesse tanto ai casi in cui il pericolo sia considerabile concreto, ovvero presupponente l’avvenuta violazione di un diritto quale potrebbe essere il diritto di proprietà, quanto esso in cui sia ritenibile astratto e pertanto applicabile ai casi in cui, sebbene non via stata alcuna violazione sostanziale, vi è un’elevata probabilità che esso possa avvenire.

Il modus operandi della Corte può essere considerato “double face” ed allo stesso tempo utile ai fini della risoluzione della controversia perché interpreta in senso estensivo la nozione di legittimo interesse statuendo nel contempo la infondatezza della domanda giudiziale avanzata dal TK adducente l’utilizzo delle telecamere come violazione della privacy: nel presente caso quindi l’interesse superiore della collettività al rispetto e salvaguardia del diritto di proprietà va ritenuto dominante o comunque prevalente rispetto al diritto del singolo individuo a non vedere violata la propria sfera intima e personale.

  • Necessità

Arrivando a decidere il momento del secondo profilo, la necessità del trattamento, la Corte opera un distinguo ripartito su due differenti deduzioni.

  1. La prima si concentra sull’uso della videocamera come alternativo a strumenti di prevenzione meno invasivi e impattanti sulla privacy e più in generale sulla libertà di un soggetto, considerando quindi la video-sorveglianza come extrema ratio.
  2. La seconda analizza la questione dal punto di vista del titolare del trattamento non ravvisando un obbligo giuridico in capo allo stesso di adottare uno strumento meno invasivo della libertà personale, qualora questo strumento alternativo si riveli meno vantaggioso al fine di salvaguardare un interesse di collettività, nella fattispecie il diritto di proprietà: la vera novità è rappresentata dal fatto che sia discrezionalità del titolare di dato trattamento stabilire un intervallo temporale nel quale svolgere le riprese, al fine di realizzare un bilanciamento tra l’interesse del singolo al rispetto della propria sfera personale e l’interesse della collettività.

 

  • Bilanciamento dei contrapposti interessi

La Corte conclude le proprie argomentazioni sulla questione in oggetto ricordando come, soprattutto su una questione così articolata come la videosorveglianza, il titolare del trattamento debba concretamente ed approfonditamente valutare gli interessi in gioco di entrambe le parti con specifico riferimento al caso concreto.

Nella fattispecie di cui si tratta in definitiva, tanto da un punto di vista astratto quanto concreto, il compito del titolare consiste per l’appunto valutare i criteri di rischio derivanti dall’utilizzo dello strumento in applicazione all’art. 6, paragrafo 1, lettera f del GDPR; i Giudici di Lussemburgo sottolineano che qualora sussistesse una sproporzionalità nell’utilizzo della videocamera tale da inficiare il diritto dell’individuo alla propria sfera di intimità, allora ricadrebbe un obbligo in capo al titolare di adottare uno strumento meno invasivo della sfera individuale ed allo stesso tempo assicurante la protezione collettiva del diritto di proprietà privata.

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