Interesse e Vantaggio 231 nei reati colposi commessi dall’ente
Con la sentenza n. 22256 del 03/03/2021, la Cassazione penale (sez. IV) è intervenuta nuovamente sull’interpretazione dei criteri dell’interesse e del vantaggio in relazione ai reati colposi commessi dall’ente.
Come noto, il D.Lgs. 231/2001 ha creato un sistema ibrido, ricompreso tra il diritto penale e il diritto amministrativo, volto a ricondurre una qualsivoglia responsabilità dipendente da reato alle persone giuridiche, storicamente slegate da qualsiasi contestazione sulla base del principio “societas delinquere (et puniri) non potest”.
Ricordiamo brevemente i tratti di questa responsabilità, che sussiste, si ricordi, qualora l’autore materiale (persona fisica), dipendente o apicale della società, commetta uno dei reati previsti dall’elenco dei reati presupposto tassativamente indicato dal D.Lgs. 231/2001, nell’interesse e a esclusivo vantaggio della società stessa.
Lo strumento con il quale l’ente può evitare l’applicazione delle sanzioni derivanti dal reato è costituito dagli ormai celebri Modelli di Organizzazione Gestione e Controllo (MOGC), consistenti in procedure, protocolli, misure di sicurezza, ecc.., disposte dall’ente, in grado (almeno in astratto) di impedire la commissione di un determinato reato.
Tra le categorie di reati più frequentemente contestati agli enti, rientrano senza dubbio i reati connessi alla sicurezza sul lavoro, segnatamente le lesioni colpose e l’omicidio colposo, commessi in violazione delle norme del T.U. Sicurezza (D.Lgs. 81/2008).
La sentenza in commento è particolarmente interessante perché, inserendosi nella scia di altre precedenti pronunce (si veda, ad esempio, altro nostro contributo in argomento), definisce in modo ancora più preciso i requisiti dell’interesse e del vantaggio, ripercorrendo inoltre numerosi principi in materia di responsabilità degli enti e reati colposi.
Interesse e Vantaggio 231: partiamo dai fatti
La società era stata chiamata rispondere dell’infortunio occorso ad un dipendente, investito da un muletto in movimento all’interno del luogo di lavoro, che gli aveva causato la frattura della tibia e del piede sinistro.
Sia i giudici di primo grado che di appello avevano riconosciuto la responsabilità della società sulla base del fatto che l’incidente era stato cagionato dall’inadeguatezza delle misure di sicurezza e prevenzione (nello specifico, la segnaletica orizzontale era assente), determinata o meglio ancora preordinata ad un risparmio economico sull’attività prevenzionistica e sull’aggiornamento delle norme sulla sicurezza all’interno del luogo di lavoro.
La giurisprudenza ha infatti stabilito che, in relazione ai reati colposi, la responsabilità dell’ente non dipende dall’evento (le lesioni o la morte), bensì dalla condotta: la responsabilità si realizza infatti nel momento in cui l’ente, per ragioni di massimizzazione del profitto o di mantenimento dei costi, decide consapevolmente di non predisporre adeguate misure di sicurezza.
L’ente non ha infatti alcun interesse nel causare lesioni ad un proprio dipendente, ma può certamente avere interesse a risparmiare sui costi per la predisposizione delle misure di sicurezza. Il vantaggio è dato naturalmente dal risparmio ottenuto, o nel maggior profitto realizzato.
Naturalmente, i due criteri, alternativi e concorrenti tra loro, vanno analizzati in modo differente: l’interesse va valutato ex ante, con riferimento alla consapevole scelta di violare le disposizioni di prevenzione, mentre il vantaggio è riscontrabile solo ex post, guardando in concreto il risparmio o il profitto guadagnato, indipendentemente dalla volontà di ottenere tale vantaggio (tanto che in precedenti pronunce, la Corte ha stabilito che anche la certificazione delle norme di sicurezza in base a standard internazionali non è sufficiente a escludere la responsabilità dell’ente qualora questi ne tragga vantaggio).
Il risparmio non va valutato necessariamente in termini economici, dal momento che può benissimo intendersi come risparmio sui tempi della produzione.
Ebbene, il ricorso della società si fondava proprio sul fatto che i giudici di merito non avevano motivato a dovere la sussistenza dei requisiti dell’interesse e del vantaggio a favore dell’ente.
La Corte ha condiviso le motivazioni dedotte dalla società, rinviando ai giudici di merito, che dovranno “procedere a nuovo esame circa la sussistenza del requisito dell'”interesse” e/o del “vantaggio” necessario per l’affermazione della responsabilità dell’ente per il reato commesso dal C., riconosciuto dalla sentenza di primo grado, alla luce delle specifiche censure mosse sul punto con l’atto d’appello e dei principi affermati dalla Corte.”
Secondo la Corte, i giudici di merito avevano motivato in modo insufficiente la sussistenza del requisito del vantaggio dell’ente, non avendo considerato per contro il contesto di generale osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro da parte della società, nonché il costo probabilmente minimo che avrebbe dovuto sostenere l’ente per implementare la determinata misura, quando questo si era già rivolto ad un esperto per la redazione del documento di valutazione dei rischi.
Secondo gli ermellini quindi, l’omissione di una specifica misura di sicurezza all’interno di un generale quadro di rispetto delle norme di sicurezza, dal quale derivi un risparmio probabilmente risibile, impone una valutazione più motivata sulla sussistenza dei requisiti dell’interesse e del vantaggio, per evitare un’applicazione automatica della norma.
Questo perché, come detto, il requisito del vantaggio sussiste sì indipendentemente dalla volontà di violare le norme antinfortunistiche, potendo benissimo verificarsi il reato in conseguenza di negligenza o imprudenza, ma deve consistere in un apprezzabile guadagno, il cui sindacato è in ogni caso rimesso alla valutazione del giudice.
Allo stesso modo, l’interesse, che può sussistere indipendentemente dal conseguimento del profitto laddove consista in una specifica politica aziendale volta ad ignorare le norme sulla sicurezza sul lavoro, non può essere valutato superficialmente, se gli elementi in concreto suggeriscano che una tale politica non esiste.
La sentenza appena citata è quindi molto interessante, in primis perché raccoglie molti principi enunciati dalla giurisprudenza sulla definizione dei criteri dell’interesse e del vantaggio, ma anche perché ci suggerisce, tra le righe, che laddove l’ente sia particolarmente attento nella predisposizione delle misure di sicurezza sul lavoro, sarà più complicato dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. 231/2001 per imputarne la responsabilità.