Rischio 231 per le società straniere in Italia
Nel presente articolo la tematica oggetto di discussione attiene all’applicazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 nei riguardi di società straniere presenti sul territorio italiano.
Occorre così considerare l’art. 5 del suddetto decreto relativamente alla responsabilità dell’ente per uno o più reati commessi nel suo interesse.
La predetta disposizione legislativa in particolare delinea l’avvenuta commissione di illecito da parte di un soggetto rappresentante l’ente coinvolto ed esercente in diritto o in fatto la gestione dello stesso, alternativamente all’eventualità che tale illecito venga compiuto da un soggetto direttamente sottoposto alla direzione dello stesso.
Chiarito questo principio, in dottrina e giurisprudenza è sorto un dubbio di natura rilevante: questa disciplina attiene alle sole società italiane o va estesa anche a società straniere aventi una sede nel territorio italiano?
Si può supporre un’applicazione in senso estensivo della normativa?
La Corte Suprema si è recentemente pronunciata in materia con la sentenza n. 11626/2020: nel presente caso vi era un’accusa mossa nei confronti di alcuni dirigenti per reati corruttivi compiuti nel periodo intercorrente tra il 2001 ed il 2004 e fondata sul fatto che i suddetti avessero agito al fine di conseguire un vantaggio per la società.
Gli imputati rilevavano un difetto di giurisdizione della Corte sotto un profilo ratione loci in conseguenza del fatto che la Boskalis BV da essi rappresentata avesse sede legale in Olanda, adducendo quindi che l’accertamento in sede penale a cui sarebbe conseguito un vantaggio sostanziale da un punto di vista amministrativo avrebbe dovuto essere compiuto da parte della competente autorità giudiziaria olandese.
Nel suddetto giudicato la S.C. asserisce per contro la propria competenza tanto sotto il profilo ratione loci quanto sotto quello ratione personae: in primis la Corte ritiene che a nulla rilevi il fatto che la società in questione fosse legalmente registrata all’estero, in quanto l’illecito corruttivo è avvenuto in Italia.
In secundis la Corte ritiene che essa sia chiamata ad esercitare competenza ratione personae in virtù del fatto che l’ente giuridico avesse conseguito un vantaggio materiale derivante da un reato corruttivo.
Il reasoning dei giudici cassazionisti sul caso in questione costituisce un precedente giurisprudenziale di assoluta importanza in quanto emerge che la disciplina dell’art. 5 del Decreto Legislativo in questione sia condicio sine qua non purchè si abbia reato corruttivo imputabile personalmente ai singoli dirigenti, in quanto i soggetti agenti in posizione apicale hanno posto in fieri una condotta allo scopo di conseguire indebitamente un vantaggio per l’ente rappresentato, che a sua volta sarà chiamato a rispondere dell’illecito amministrativo immediatamente scaturente da esso a prescindere che quest’ultimo abbia o meno sede in Italia.