Applicazioni neurocognitive per le professioni legali: miglioramento delle skill di negoziazione
L’insegnamento delle skills di negoziazione non è incluso nel curriculum formativo accademico tradizionale delle scienze giuridiche (diversamente da quelle economiche), sebbene si tratti di una delle attività più comuni e critiche, tanto nella vita comune, quanto in quella professionale.
I profili cognitivi, psico-sociali e comunicativi dovrebbero far parte dell’addestramento formale di ogni avvocato.
Quando parliamo di negoziazione facciamo riferimento a quel processo di comunicazione bilaterale che mira a trovare un accordo tra due o più parti che condividono uno o più interessi, e allo stesso tempo hanno visioni differenti su altri interessi.
Il processo di negoziazione è una forma esplicitamente strategica e moralmente ambigua di interazione: il compito del mediatore include anche indirettamente fuorviare la controparte per arrivare a un possibile accordo e allo stesso tempo adottare un comportamento formalmente irreprensibile, mentre si inviano segnali ingannevoli sul prezzo di riserva (inteso come valore “ceiling”, tetto massimo invalicabile di “spesa” disposti a sostenere)
Oggi è chiaro che gli avvocati debbano essere in grado di adattare il loro stile, tradizionalmente portato al contraddittorio, a una logica cooperativa ed assistere i propri clienti con un approccio di problem-solving nelle risoluzioni dei conflitti.
Non si tratta solo di prendere coscienza del fatto che ormai il mercato dei servizi legali è saturo in molti paesi; esiste da tempo un dibattito sull’opportunità etica di reindirizzare gli avvocati verso abilità creative, empatiche e relazionali.
La tradizionale non curanza per la negoziazione e la mancanza di tempo e preparazione per il processo di negoziazione implica una rinuncia nel rafforzare una posizione contrattuale.
Gli avvocati tendono a prepararsi poco per la fase di negoziazione preliminare, o a gestirla in modo superficiale, puntando piuttosto alla successiva fase del contenzioso.
Ma l’avversione istintiva del professionista alle soluzioni conciliatorie è cognitivo-culturale: è cioè il risultato di una abitudine ormai consolidata al contraddittorio creata durante gli anni dell’università e della formazione professionale e mai più corretta in seguito.
Tuttavia, la negoziazione e le capacità di problem-solving iniziano ad essere rilevanti nella legislazione italiana ed europea.
Nel 2010 venne introdotto in Italia il Decreto Legislativo 28/2010 che si occupa di regolare la materia della mediazione in ambito civile e commerciale, in attuazione della Direttiva EU 2008/52/EC.
È bene ricordare che la mediazione è una negoziazione facilitata da una terza persona, il mediatore, che non ha il potere di decidere il merito della disputa, il suo compito è quello di facilitare la trattativa tra le parti, che possono raggiungere un accordo transattivo solo autonomamente.
Il Decreto prevede che gli avvocati debbano informare i clienti della possibilità di risolvere le dispute con strumenti alternativi al processo e l’ha previsto obbligatoriamente per diverse materie di contenzioso.
L’uso della mediazione, che sta crescendo, è oggi considerata una delle maggiori cause di miglioramento graduale delle statistiche sull’attività giurisdizionale italiana.
Nel 2014, con il Decreto-legge n. 132/2014, convertito in Legge n. 162/2014, il legislatore ha introdotto una disposizione sulla “mediazione assistita”.
Con questo strumento, gli avvocati hanno la facoltà, durante le negoziazioni precontenzioso, di mettersi d’accordo su un protocollo di negoziazione il cui esito, se l’accordo viene raggiunto, sarà direttamente applicabile, al contrario di quello che succede con i riti ordinari.
Inoltre, anche in questo caso, la richiesta di accordare un protocollo di negoziazione è obbligatorio per alcune materie di contenzioso. I risultati di questa riforma, tuttavia, sono ancora insoddisfacenti in termini di applicazione pratica.
Questa pratica è abbastanza utilizzata nel diritto familiare, dove gli avvocati specializzati prestano particolare attenzione alla risoluzione consensuale delle controversie, dato il danno grave che un approccio avversivo può causare alle parti, soprattutto nel caso di coinvolgimento di minori.
Le recenti ricerche condotte sui mediatori del settore civile e commerciale hanno dimostrato che statisticamente i mediatori con un background in legge hanno portato le parti a concludere un numero sempre più basso di risoluzioni stragiudiziali rispetto ai mediatori con una laurea in economia.
L’ipotesi che è stata formulata a riguardo è che nella formazione economica ci sono moduli e seminari dedicati esplicitamente alla negoziazione e questo rappresenta un vantaggio per i mediatori con questo tipo di formazione alle spalle. Al contrario, il curriculum dell’avvocato è incentrato soprattutto sul diritto positivo o su materie teoretiche e culturali.
C’è quindi bisogno di un’attenzione educativa e pedagogica nuova per formare il giurista. Lo stile di negoziazione degli avvocati è tipicamente quello di mantenere la posizione contrattuale: consiste nel mantenere le proprie posizioni argomentando in modo retorico e minacciando un’azione legale, affermando il diritto di una parte e allo stesso tempo il dovere dell’altra di conformarsi in base alla legge.
Il vantaggio è sicuramente che la strategia è piuttosto semplice poiché è basato sul principio di legalità che è universalmente accettato. Tuttavia, questa strategia è problematica nel lungo termine, a meno che uno non abbia i mezzi economici per sostenere una battaglia prolungata perché la controparte adotterà probabilmente la stessa strategia e la negoziazione raggiungerà una situazione di stallo.
È risaputo che i mediatori più esperti cercano di scoprire gli interessi comuni in modo deciso ma anche empatico. Infatti, i mediatori con più esperienza dedicano il 40% del tempo della fase di negoziazione a cercare gli interessi condivisi e complementari, contro il 10% del tempo utilizzato per fare lo stesso dai meno esperti che invece puntano su questioni controverse come prezzo e potere.
In termini di strategie in tema di negoziazione, sono emerse diverse classificazioni, una delle più sofisticate è spiegata da Patton, che identifica quattro alternative fondamentali:
- Posizione contrattuale: è basata su diritti e obblighi di valore vincolante, che sono fatti valere direttamente nei confronti della controparte. Questa strategia negoziale, anche se semplice e universalmente riconosciuta, ha lo svantaggio di essere raramente capace di identificare opportunità per un guadagno reciproco, e di portare spesso a uno stallo della negoziazione, specialmente quando le parti sono più di due.
- Favori e conti: è basata su una relazione preesistente, che permette di mettere temporaneamente da parte questioni di principio riguardanti i diritti legali. Implica la concessione di un favore in cambio di un favore reciproco in un secondo momento, mitigando così la stretta corrispondenza tra benefici garantiti e benefici ricevuti. Questa strategia include il rischio di incomprensioni sul valore attuale del beneficio garantito, e riduce il rischio di sostituire i negoziatori originali che hanno permesso lo scambio del favore e della conseguente defezione.
- Negoziazione aggressiva: è basata su una escalation di ultimatum e sulla minaccia di abbandonare la negoziazione o le contromisure drastiche. Può essere particolarmente efficace nel caso di un negoziatore irrisolto o sottomesso, ma può anche dimostrarsi controproducente quando finisce per provocare una reazione violenta o alienare l’altra parte e interrompere una relazione personale o commerciale, poiché alla fine colpisce la reputazione.
- La negoziazione basata sui principi: è basata su poche semplici linee-guida, come il bisogno di basare la negoziazione sugli interessi piuttosto che sulle posizioni, tenere il problema separato dalle persone per essere rispettosi, di cercare soluzioni per ampliare la base di negoziazione e usare criteri oggettivi per motivare le soluzioni che sono proposte. Questa strategia porta con sé alcuni rischi quando si ha davanti un mediatore aggressivo o opportunista che potrebbe approfittare dell’apertura e della condivisione di informazioni sugli interessi e sfruttare la situazione.
In particolare, le quattro linee guida basilari proposte per la negoziazione basata sui principi, di seguito elencate, derivano dalla pratica della negoziazione, ma trovano un supporto forte nelle neuroscienze cognitive e comportamentali:
a)Separare le persone dal problema: Ogni negoziatore ha sempre un interesse non solo nell’oggetto della negoziazione ma anche nella relazione con la controparte. Questo non è solo vero per le relazioni preesistenti (come nelle relazioni familiari o business partners), ma anche in casi di negoziazione “occasionale” (un incidente stradale o la compravendita di una macchina).
Persino in questi ultimi casi, il fallimento della negoziazione può portare a un danno reputazionale. Le chance di successo nelle negoziazioni dipendono dall’abilità del negoziatore nell’affrontare il problema in modo convincente e decisivo, senza attaccare l’orgoglio o la dignità della controparte.
Il negoziatore “emozionalmente intelligente” trasmette emozioni positive alla controparte ed emozioni negative verso le sue richieste più svantaggiose. Questa abilità, certamente difficile da attuare in pratica, è collegata ad alcune decisioni concrete prese dal negoziatore: ascoltare, riconoscere le emozioni ed essere empatico, usare gesti simbolici di distensione.
b)Lavorare sugli interessi piuttosto che sulle posizioni. Anche se la negoziazione o la disputa si rivela un conflitto sulle posizioni (io ho questo diritto nei confronti di X e tu hai un dovere nei confronti di Y), spesso saranno gli interessi sottostanti a definire la soluzione. Gli interessi sono bisogni essenziali, desideri, motivazioni, e paure che animano il negoziatore.
Il metodo per riuscire a tirar fuori gli interessi in una negoziazione è quello di chiedere all’altra parte le ragioni e le motivazioni delle loro posizioni. Far si che questi interessi emergano è un’operazione complicata: le parti esitano a renderle esplicite, per paura di diventare vulnerabili.
c)Inventare alternative creative per ottenere un guadagno reciproco. In ogni processo di negoziazione tendiamo spesso a vedere la negoziazione come un gioco a somma zero: se otterremo qualcosa, sarà perché la controparte ha rinunciato al valore corrispondente.
Le tecniche di negoziazione per applicare questo principio sono:
- una esauriente preparazione per la negoziazione,
- l’identificazione di interessi comuni,
- lo studio delle posizioni di negoziazione,
- il libero scambio di idee per produrre soluzioni creative per la disputa.
d)Impiegare criteri oggettivi. Le chance che le offerte della negoziazione vengano accettate aumentano considerevolmente quando siamo capaci di fornire un punto di fisso che sia il più possibile oggettivo per le nostre richieste.
Questo punto fisso oggettivo può consistere in tanti elementi, per esempio nel valore di mercato, un precedente, uno standard scientifico o professionale, i costi economici, una giurisprudenza consolidata, un criterio di efficienza, una regola morale, un principio di non discriminazione e di uguaglianza, tradizione e reciprocità.
Un’altra tecnica per le negoziazioni problematiche è la cosiddetta “avanti il prossimo”: quando le parti sono bloccate in un’impasse sarebbe utile rivolgersi a una terza persona o mediatore che dovrebbe essere in grado di redigere una bozza di accordo sul quale lavorare insieme.
GLI STRUMENTI DISPONIBILI
Nel campo della negoziazione ci sono molte tecniche e metodologie che sono esplicitamente introdotte per il professionista o per lo studente in modo tale da far emergere schemi di comportamento capaci di promuovere una negoziazione soddisfacente.
L’efficacia di queste tecniche, tuttavia, dipende anche, e soprattutto, da una serie di fattori che difficilmente una persona può tenere sotto controllo. Molti aspetti della comunicazione non verbale, per esempio, vanno oltre il nostro controllo.
Nella negoziazione, uno degli aspetti più interessanti è il fenomeno del reciproco adattamento, o mimesi comunicativa, che può prendere la forma di riflettere o uguagliare un fenomeno che potremmo definire di risonanza comunicativa.
Come in ogni altro meccanismo retroattivo il concetto base è quello del feedback: in modo completamente automatico, ogni partecipante elabora il comportamento comunicativo dell’altra persona come un feedback sul quale modulano il loro comportamento in un processo circolare che sostanzialmente non ha una fine ma può subire diverse vicissitudini. Queste abilità ricadono nel campo dell’intelligenza sociale che include la capacità di adattare il processo cognitivo alle domande dell’ambiente sociale per conseguire obiettivi personali e/o interpersonali.
Un altro fattore implicito, sicuramente connesso alla risonanza comportamentale, risulta essere importante nella negoziazione: la comprensione dello stato mentale delle altre persone. Comprendere le intenzioni dei partners (o dei rivali), comprendere la reazione emozionale, dedurre i loro processi di ragionamento sono anche abilità capaci di guidare un negoziatore verso un percorso migliore.
NEUROINGEGNERIA E NEUROTECNOLOGIE COME SUPPORTO PER LA FORMAZIONE
Si pensa sia possibile formare professionisti come negoziatori e mediatori per monitorare e controllare i processi impliciti in contesti specifici, le tecniche di neuroingegneria come il bio-feedback e il neuro-feedback consentono di sviluppare un certo grado di controllo su alcuni processi automatici e impliciti, come la pressione del sangue, il battito cardiaco, i ritmi cerebrali semplicemente attirando l’attenzione delle loro fluttuazioni. In ogni caso, questi sistemi basati sui feedback devono essere necessariamente più complessi.
Potremmo pensare all’uso di paradigmi simili ai cosiddetti sistemi di tutoraggio intelligente (ITS) progettati per influenzare l’apprendimento anche tramite l’inclusione dei dati relativi allo stato cognitivo della persona in tempo reale.
In un esperimento di Goldberg i partecipanti hanno interagito con un sistema basato sul web progettato per formare i partecipanti nelle interazioni interculturali.
Durante la procedura lo sforzo e l’eccitazione sono stati misurati attraverso un dispositivo di interfaccia cervello-computer, brain-computer-interface (BCI) Emotiv, dimostrando come effettivamente i parametri misurati fossero correlati con la difficoltà, lo sforzo cognitivo e in generale con lo stato mentale dei soggetti coinvolti.
I risultati dello studio dimostrano come un dispositivo low-cost e di buona indossabilità come Emotiv sia capace di distinguere tra momenti di riposo e momenti di sforzo cognitivo, rivelandosi quindi uno strumento tecnico da essere usato in contesti come quello di formazione dei negoziatori.
Il neurodispositivo permette quindi di rilevare, registrare e analizzare tutti i ritmi celebrali, del tutto comparabili agli strumenti medici e credibili come questi.
In più, se paragonati all’attrezzatura medica, i BCIs sono economici, altamente vestibili e non invasivi, quindi rispettando le norme di neuroetica legate. Wireless o Bluetooth permettono all’individuo ampia libertà di movimento nell’ambiente sperimentale, rendendo le persone libere dallo stress e dalla scomodità.
Nel caso dei percorsi di formazione dei negoziatori, l’uso di un BCI collaborativo potrebbe migliorare l’efficacia dei programmi attraverso il monitoraggio dell’attenzione e la concentrazione del tirocinante e la capacità di partecipare in modo efficace.
In generale, è possibile progettare un sistema di negoziazione attraverso un modello misto che utilizza il dispositivo BCI in un model più avanzato.
È possibile ipotizzare che l’implementazione di paradigmi di BCI negli scenari individuali e/o di gruppo potrebbe effettivamente aumentare la consapevolezza delle reazioni emozionali e cognitive celebrali di un individuo in situazioni interattive.
In particolare, è possibile perseguire scopi generali come per esempio la formazione del personale a gestire la risonanza comunicativa, così come personalizzare abilità più specifiche come quella di problem-solving.
Così, i tirocinanti possono imparare a regolare il loro sforzo cognitivo e attento in situazioni problematiche di complessità crescente.
È chiaro che l’autoregolazione gioca un ruolo importante nel migliorare la performance umana in una varietà di contesti, in particolare, questo obiettivo può essere raggiunto con un allenamento sul neurofeedback che generalmente implica sedute impegnative nel lungo termine.