ESG e Responsabilità sociale nelle neuroscienze
La neuroscienza è diventata ormai una priorità per i governi di tutto il mondo, si consideri che l’investimento complessivo fatto da alcuni Paesi in materia di “studi sul cervello” supera i 7 miliardi di dollari e le iniziative internazionali a livello di “brain-research” sono attualmente sette.
I progressi nel campo della neuroscienza continuano però a porre nuovi questioni a livello etico e di sostenibilità; proprio per questo motivo ormai la neuroetica è diventata una parte complementare della neuroscienza provvedendo a una serie di strumenti volti a far da guida alla ricerca biomedica e ad analizzare quale sia l’impatto che le scoperte neuroscientifiche hanno sulla società e in quale misura ne provochino la trasformazione.
Per la comunità scientifica, infatti, la neuroetica è diventata quella disciplina che permette di leggere in chiave critica le potenziali conseguenze dei progetti di ricerca.
Proprio per questo motivo ormai il piano di far diventare la neuroetica parte integrante della neuroscienza non è più solo una mera ipotesi, ma è diventata una priorità nelle agende politiche di molti Paesi.
Negli USA, le varie iniziative a livello nazionale hanno poi portato alla nascita di un programma sulla ricerca neuroscientifica e neurotecnologica, il cosiddetto Brain Initiative, che prevede al suo interno anche la creazione di un gruppo tecnico sulla neuroetica a cui sono indirizzati ingenti finanziamenti per la ricerca.
Per meglio comprendere quanto la neuroetica sia funzionale alla neuroscienza si può leggere uno stralcio del rapporto BRAIN 2025: A Scientific Vision in cui the BRAIN Working Group of the Advisory Committee to the NIH Director scrisse: “Anche se le ricerche sul cervello comportano questioni etiche che sono comuni anche ad altre aree della scienza biomedica, quelle sul cervello richiedono delle considerazioni etiche specifiche. Dal momento che il cervello dà vita alla consapevolezza, ai nostri pensieri più reconditi e alle esigenze primarie dell’uomo, studi meccanici del cervello sono sfociati in nuove domande etiche e sociali.”
Nello specifico, è importante notare l’influenza che i valori culturali esercitano sulla scienza; essi infatti non solo guidano il modo in cui le ricerche scientifiche vengono portate avanti ma anche il modo in cui la scienza viene adottata e calata nella società.
Le conseguenze delle differenze culturali a livello globale e a livello personale di ogni ricercatore o scienziato sono tutt’altro che futili per il mondo scientifico; le lacune nella comprensione, infatti, non permettono una effettiva collaborazione e quindi non permettono neanche di acquisire nuove conoscenze; esse limitano la possibilità di condividere i risultati, di cogliere i frutti delle scoperte neuroscientifiche e non consentono di riconoscere i benefici e i rischi, nel breve e lungo periodo, della ricerca neuroscientifica. Nonostante ci siano numerose correnti filosofiche che potrebbero risultare più efficaci nell’indirizzare i problemi della neuroscienza, l’approccio utilizzato dalla bioetica tradizionale dei Paesi occidentali è sicuramente quello che ha dominato le discussioni sulla neuroetica fino ad oggi.
È necessario quindi capire come questo approccio occidentale si applichi ai valori morali di una comunità internazionale più ampia, quella caratterizzata dalle culture più diverse. Un argomento centrale nel dibattito sulla neuroetica si incentra sulla eccezionalità del cervello: parliamo del pensiero secondo il quale il cervello sia un organo distinto dagli altri e che in quanto tale sia fondamentale per l’identità dell’uomo; esso è la sede degli aspetti fondamentali dell’uomo, come la personalità, i desideri, le speranze, le paure, le memorie e il libero arbitrio.
Proprio il fascino che caratterizza gli studi sul cervello ha fatto sì che la neuroscienza diventasse una priorità in tutti i paesi del mondo, non solo per la grande percentuale di disturbi mentali che colpisce le popolazioni del mondo, ma anche perché i ricercatori e i finanziatori hanno fissato tra i loro obiettivi quello di “svelare gli inafferrabili segreti del cervello umano” e una comprensione più profonda dei “sentimenti e del comportamento umano”.
Non è chiara la misura in cui queste teorie sulla relazione cervello-corpo-mente, o sull’identificazione del cervello come organo identificativo della persona umana, siano universalmente accettate dalle comunità in cui vengono portate avanti le ricerche sul cervello; in molti paesi infatti la mente, il cervello e il corpo sono inestricabilmente connesse.
Le varie interpretazioni di queste relazioni possono influenzare notevolmente la scelta dei progetti da seguire e il modo in cui queste ricerche vengono condotte.
Un altro esempio è dato dalle visioni differenti in merito alla morte, alla morte del cervello e all’inviolabilità della vita: tutte queste implicazioni culturali ed etiche hanno avuto un grosso impatto anche sulla scelta di finanziare i progetti di ricerca.
In virtù dell’importanza di condurre uno studio che tenga conto dei valori culturali di una società, un gruppo di esperti ha generato una serie di quesiti di neuroetica che potrebbero essere formulate in tutti quei paesi che hanno in atto dei progetti sul cervello. Mettere in primo piano queste domande ha l’obiettivo di far sì che i ricercatori e le altre figure coinvolte nei progetti possano integrare e dar spazio a queste considerazioni durante lo svolgimento dei loro studi. Qui di seguito le domande elaborate dagli esperti.
1. Quale potrebbe essere l’impatto di uno studio neuroscientifico sui disturbi mentali sull’individuo e sulla società?
Con il progresso delle ricerche scientifiche, i dati neurobiologici vengono utilizzati in molteplici modi, alcuni anche inaspettati. Se da un lato l’influenza dei modelli medici della malattia mentale hanno forse aumentato le richieste d’aiuto da parte del paziente, dall’altro è stato dimostrato che, in seguito agli studi neurobiologici, è aumentata la stigmatizzazione nei confronti di tutti quegli individui con malattie mentali.
Molti progetti di ricerca nazionale hanno avviato dei progetti di sperimentazione volti a prevedere il sorgere di malattie come l’autismo o l’Alzheimer.
Questa potrebbe essere un’occasione per intervenire tempestivamente e rallentare l’avanzare della malattia.
Predire lo stato di salute in cui verserà il cervello di una persona non solo sarà importante per individuare il tipo di malattia che l’individuo svilupperà ma influenzerà inevitabilmente anche il modo che la persona avrà di percepire sé stesso e questo si riverbererà nelle relazioni interpersonali.
Per questo motivo è importante non sottovalutare i risvolti culturali e sociali delle ricerche neuroscientifiche.
1a) Quali potrebbero essere gli imprevisti della ricerca neuroscientifica sulla stigmatizzazione sociale e sull’auto-stigmatizzazione?
Per rispondere a questa domanda bisogna considerare due fattori: l’individualismo e il collettivismo.
Bisogna capire come questi concetti siano articolati nel contesto locale perché potrebbero essere degli strumenti utili per analizzare il rapporto tra la stigmatizzazione e i disturbi mentali.
I ricercatori che sostengono gli interventi predittivi delle malattie mentali dovrebbero chiedersi quando e in che modo diagnosticare preventivamente un disturbo influenza positivamente la vita di colui che soffre della malattia migliorandone effettivamente la qualità della vita, e quando invece non fa altro che esasperare la sofferenza.
Capire come queste neurotecnologie possano alterare la percezione che un individuo ha di sé deve essere parte integrante della ricerca. Per esempio, nelle società in cui le relazioni interpersonali sono essenziali, una condizione come quella dell’autismo può stigmatizzare non solo l’individuo ma anche l’intera famiglia; così come la discriminazione sociale può ledere il matrimonio o il futuro lavorativo di una persona.
Quindi fare una diagnosi preventiva invece di essere d’aiuto per il malato diventa, in molti casi, una condanna per l’intera famiglia.
1b) È possibile che il pregiudizio sociale e culturale venga tenuto in considerazione durante i progetti di ricerca e nei risultati scientifici?
La maggior parte delle ricerche neuroscientifiche ha l’obiettivo di scoprire quali sono i fattori che rendono un cervello “diverso” dagli altri, ma cioè che è “normale” o “anormale”, “comune” or “non comune”, “accettabile” o “inaccettabile” non riflette una realtà universale ma piuttosto preconcetti culturali e sociali.
Per questo motivo, bisognerebbe evitare di far sì che gli studi riflettano i valori intrinsechi del tessuto sociale e culturale in cui sono calati; ciò per evitare anche pregiudizi nei confronti della razza, delle etnie, del genere e delle disabilità.
La ricerca dovrebbe essere pertanto libera da qualsiasi pregiudizio e neutrale.
2. Quali sono gli standard etici da seguire? In che modo bilanciare gli standard locali con quelli globali?
Per poter fare dei progressi nella scienza e nella tecnologia, molti ricercatori che seguono progetti scientifici nazionali sono stati d’accordo nel creare una grande piattaforma dove poter condividere tutte le scoperte effettuate e rafforzare le collaborazioni, the International Brain Station.
Ciò solleva diversi problemi a livello etico perché la registrazione di un numero elevato di dati sensibili richiede che vengano adottati dei protocolli volti a proteggerne la conservazione.
La privacy e la protezione del materiale biologico sono considerati come strumenti per rispettare la dignità umana stessa.
2a) Quale protezione può essere garantita ai dati incapsulati dal cervello umano (come immagini o registrazioni neurali) e alla privacy dei soggetti da cui questi dati sono ricavati in caso di uso immediato o in seguito agli esperimenti?
Ovviamente il tema della privacy ha destato molte preoccupazioni fra il pubblico tant’è che in più centri di ricerca si è cercato di capire come far si che i soggetti partecipanti ai progetti esprimessero un consenso ben informato.
Anche in questo caso, trattare le questioni etiche collegate alla neuroscienza può essere complicato perché quello della privacy è un concetto che cambia in base al contesto culturale e storico.
In Europa la privacy è tutelata a livello legale, così come negli USA alcune leggi federali e il 4th, il 5 e il 14th emendamento della Costituzione garantiscono la protezione della privacy per quanto riguarda il trattamento dei dati sanitari del paziente.
Tuttavia, lo stesso non si può dire in altre parti del mondo come il Giappone o la CINA: è noto che nel primo paese la privacy veniva vista come qualcosa di egoista e godere di questo diritto significava sacrificare i valori della collettività.
2b) È giusto dare particolare attenzione al tessuto cerebrale e ai suoi donatori sulla base dell’origine del tessuto e del suo passato?
Molti progetti nazionali prevedono l’ampliamento delle banche del cervello e la donazione degli organi.
In molti paesi dell’Asia le banche del cervello scarseggiano, ed è proprio per questo motivo che i cervelli o i tessuti cerebrali che vengono donati sono una risorsa preziosa sia perché sono pochi e sia per le difficoltà che bisogna affrontare per ottenere e preservare un tessuto. Anche in questo caso bisogna fare i conti con i valori culturali della società circostante. In molti paesi Buddisti potrebbe esserci il timore che rimuovere un cervello deceduto dal corpo interferirebbe con una pacifica transizione dopo la morte.
3. Qual è il significato morale dei sistemi neurali che sono in evoluzione nei laboratori di ricerca neuroscientifici?
Molti progetti di ricerca enfatizzano lo sviluppo delle neuro-tecnologie che fungono da simulatori dei circuiti del cervello umano. È importante capire se e come le nuove tecnologie permettono ai gruppi di ricerca di volgere la giusta attenzione ai risvolti morali di un progetto.
3a) Quali devono essere le caratteristiche minime presenti nei circuiti neurali progettati affinché venga suscitata una qualche minima preoccupazione sull’importanza della morale?
Dato il ruolo critico che gioca il cervello nell’esperienza umana, una domanda frequente da porsi è se sia opportuno considerare il tessuto cerebrale come qualcosa di moralmente differente dagli altri organi. Un indizio per i neuroscienziati è quello di domandarsi quale possa essere la risposta del pubblico alla ricerca neuroscientifica ma questo esercizio deve essere condotto avendo ben in mente che tutti i valori che sono socialmente accettati all’interno di una società sono soggetti al mutare dei tempi. Inoltre, quando si considerano entità artificiali (per esempio manipolazioni su “animali non umani” o anche in alcuni casi di intelligenza artificiale), quali sono i requisiti che possono mettere in subbuglio le caratteristiche della personalità?
Sicuramente è stata ampiamente dimostrata l’utilità dell’intelligenza artificiale, soprattutto nel campo della medicina ma anche in questo caso le questioni etiche che vengono in risalto non sono poche.
C’è una parte della comunità scientifica secondo la quale i robot non devono somigliare agli umani, almeno fin quando anche la loro intelligenza non potrà uguagliare quella umana.
Tuttavia, sono sempre di più i robot che somigliano agli esseri umani in tutto e per tutto e, come ogni cosa, questi nuovi esperimenti sono soggetti all’approvazione del pubblico: ci sono casi, come quello giapponese, in cui c’è un forte desiderio di aver un mondo robotizzato tant’è che in Giappone si è arrivati alla creazione di un robo-hotel gestito interamente da robot.
Ma lo stesso entusiasmo non è stato dimostrato dal popolo americano. Quindi anche questo mercato, quello dei robot, dovrà affrontare non poche sfide per rispondere ai divari etici che nasceranno in merito all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
3b) Si possono ritenere appropriati gli standard etici già presenti per conseguire una maggior evoluzione nei progetti di ricerca sul cervello?
Questa domanda riguarda essenzialmente l’eticità nel condurre esperimenti su “animali non umani”. È giusto creare dei disturbi mentali umani ed effetti neuro-comportamentali in modelli animali non umani? Il ragionamento da seguire è: se “l’animale non umano” è “abbastanza umano” per fare da cavia negli esperimenti, perché non riservagli gli stessi diritti e la protezione garantita agli esseri umani nella ricerca? Se alla base di questi esperimenti sugli animali c’è la convinzione che gli animali abbiano un cervello simile al nostro, e se il cervello è l’organo che permette di distinguere gli esseri umani dagli altri animali, allora ci si chiede in che misura sia necessario fissare dei limiti agli esperimenti sugli animali.
Probabilmente, nel campo delle ricerche sul cervello sarebbe necessario prendere in considerazione dei parametri etici nuovi.
4. In che modo gli esperimenti sul cervello influenzano o riducono l’autonomia?
Questo specifico gruppo di domande vuole indirizzare le conseguenze degli esperimenti sul cervello dal momento che essi hanno la capacità di modificare la personalità, gli stati affettivi, gli aspetti cognitivi, il comportamento, l’autonomia e altri significativi aspetti dell’individuo soggetto alla ricerca.
4a) Quali misure possono essere adottate per assicurare l’autonomia dell’individuo soggetto all’esperimento?
Che cosa permette a un individuo di agire in modo libero e volontario?
Una gran parte della ricerca neuroscientifica si è focalizzata sui concetti di “volontà” e “decisione”, e su come l’intenzione e la volontà, o la mancanza di essi, possano trasformarsi in azione.
Dal momento che esistono dei dispositivi che possono agire sul cervello, come possono questi aiutare l’individuo se molto spesso oscurano una partecipazione conscia, come ad esempio nel caso dell’installazione di un dispositivo di stimolazione nel cervello?
Il modo in cui vengono analizzati i concetti di autonomia, di indipendenza e anche di responsabilità in relazione al cervello non è un qualcosa di universalmente accettato dalle comunità scientifiche.
In molte società l’autonomia viene considerata in senso collettivo piuttosto che come qualcosa di personale.
Esempi di questo tipo si possono fare in alcuni sistemi della sanità in cui è prassi rendere nota la diagnosi di una malattia terminale non al paziente, bensì al capofamiglia il quale in seguito prenderà eventuali decisioni al posto del paziente. Quindi, nella considerazione di questi aspetti e nell’utilizzo di queste nuove tecnologie, bisognerà coinvolgere non solo ricercatori ed esperti dell’etica ma anche pazienti e famiglie.
4b) Chi avrà la responsabilità (legale, economica e sociale) di questi interventi sul cervello?
La responsabilità dipende dalle leggi locali, da regolamenti e da scelte politiche.
Tuttavia, leggi e regolamenti non sono altro che lo specchio dei valori di una popolazione ma nel tempo possono smettere di andare al passo con l’evoluzione dei costumi e dell’opinione pubblica. Alla base di qualsiasi visione sul concetto di responsabilità c’è l’assunzione che i responsabili sono coloro che hanno la capacità di esercitare il controllo, quel controllo che i dispositivi neurali vanno ad attaccare.
Un’ulteriore difficoltà è capire come un individuo affronta l’istallazione di un dispositivo neurale all’interno di sé stesso quando le decisioni e le azioni dello stesso individuo vengono influenzate dal dispositivo neurale a tal punto che i confini tra l’individuo e il dispositivo diventano sfocati perché non si capisce più dove finisce l’uno e dove inizia l’altro. In alcune società poi, attribuire la responsabilità al soggetto che partecipa al progetto potrebbe essere meno rilevante che identificare le condizioni relazionali, ambientali e sociali che portano a un comportamento inappropriato.
Se da un lato è stato ritenuto opportuno in molti tribunali americani utilizzare il cervello e le sue eventuali anomalie come uno strumento per giudicare l’autonomia e la responsabilità di un soggetto, dall’altro lato uno studio effettuato in Taiwan ha dimostrato che la conoscenza di un difetto nel cervello non eliminerebbe la responsabilità penale per gli atti commessi da un soggetto.
5. In quali contesti può essere utilizzata una innovazione neuroscientifica?
Come accade spesso con le nuove tecnologie, molte delle invenzioni oggetto di studio finiscono per andare oltre la sola ricerca fino a rinnovare il loro utilizzo in molti altri campi.
Nella neuroscienza, le tecnologie sviluppate per l’uso medico possono essere utilizzate anche in ambito militare.
Molti progetti di ricerca come quello americano hanno avviato una partnership con le entità dedicate alla difesa nazionale; la Commissione Europea classifica alcuni beni, prodotti e tecnologie suscettibili di un doppio utilizzo (dual-use technology) come quei beni che sono normalmente utilizzati dai civili ma che possono essere utilizzati anche per scopi militari.
Il fatto di adattare i dati e le tecnologie della neuroscienza a molteplici usi però potrebbe limitare la capacità di un progetto di prevenire usi indesiderati della ricerca.
Per questo motivo sono state avviate delle ricerche volte ad analizzare non solo i risvolti etici e filosofici di un progetto, ma anche i punti di forza, di debolezza e le ambiguità delle attuali definizioni di “duplice uso”.
5a) Cosa può essere definito “buon uso” o “cattivo uso” delle tecnologie al di là degli esperimenti da laboratorio?
Parte dell’amministrazione scientifica dovrebbe sempre vigilare sui possibili ulteriori risvolti per cui un nuovo prodotto potrebbe essere impiegato e, allo stesso tempo, gli scienziati dovrebbero prevederli. Questo non significa frenare l’innovazione o limitare la libertà dei ricercatori, ma più che altro ricordare loro di lavorare in un ambiente dinamico, quello scientifico, basato su valori umani e sociali.
Per iniziare ad affrontare questo tema, gli scienziati dovrebbero chiedersi: “perché le persone potrebbero ritenerci responsabili di un utilizzo sbagliato di queste tecnologie?” “quale possibile utilizzo di questa tecnologia può destare preoccupazione nell’opinione pubblica e perché?”.
5b) Questo tipo di ricerca solleva qualche problema a livello di giustizia? Se si, sono stati sufficientemente considerati i diritti di tutte le parti interessate?
Gli studi riguardo all’opinione pubblica in merito all’uso, all’applicazione e ai problemi etici sollevati dagli esperimenti sul cervello sono stati limitati alle società occidentali, mentre ci sono scarsi studi condotti tra le popolazioni orientali. Questa differenza può essere spiegata dal fatto che in Asia c’è sicuramente una scarsa conoscenza circa la possibilità di potenziare i sistemi cognitivi rispetto all’Europa o agli Stati Uniti.
Generalmente negli studi sul miglioramento dei sistemi cognitivi, l’integrità fisica e il danno che si può recare sono questioni preminenti. Includere la volontà pubblica è un punto cruciale per deliberare su cosa costituisce beneficio per la comunità e cosa costituisce danno pubblico. Parte di questo lavoro può essere condotto attraverso una ricerca empirica aprendo dei dibattiti pubblici.
Queste domande fanno capire che sviluppare una neuroetica più consapevole e globale dovrà includere tre aspetti:
1. Una maggiore inclusività
L’obiettivo del Global Neuroethics Summit (GNS) è quello di iniziare una conversazione riguardante la necessità di includere nel discorso della neuroetica i diversi tipi di valori sociali e tutte le persone interessate nel processo.
Nel lungo periodo si cerca di adottare la più grande varietà possibile di prospettive e per questo motivo è in progetto di includere nelle conferenze future anche i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo e coinvolgere partners che vanno oltre il settore governativo.
A questo scopo, sarà necessario consultare studiosi in grado di fornire indicazioni sulle visioni culturali condivise in merito al cervello, nonché avviare più ampie riflessioni su tematiche come l’equità, la distribuzione delle risorse e sulla giustizia distributiva.
2. Progetti educativi
Quello della neuroetica è un campo relativamente nuovo e ci sono ancora poche fonti di insegnamento e di formazione.
Alcuni progetti di studio a livello nazionale hanno elaborato dei programmi volti ad aumentare la consapevolezza e migliorare la ricerca su questioni neuroetiche con ricercatori finanziati dai rispettivi governi; altri prevedono di integrare progetti educativi di neuroetica nella formazione dei neuroscienziati.
Ciò che conta è che l’educazione sulla neuroetica includa un aumento della consapevolezza dei valori diversi e di quelli condivisi da tutte le culture del mondo per poter avviare un dibattito critico.
3. Politica e Comunicazione Pubblica
In un mondo ideale la politica riflette la volontà delle persone ma non tutte le nazioni condividono questo ideale e di conseguenza non si adoperano per perseguirlo.
In più, persino nelle società democratiche la volontà e le preferenze della comunità verranno determinate in parte da ciò che chi governa conosce in merito alla scienza.
Ma il pubblico non necessariamente è disinformato sul mondo scientifico e questo modello deficitario di comunicazione è stato riconosciuto infruttuoso.
Invece è proprio necessario impegnarsi ad instaurare un dibattito tra scienziati e pubblico.
Dal momento che le ricerche in merito al cervello e al comportamento fanno passi da giganti, le stesse applicazioni neurotecnologiche nel campo della sanità, dei sistemi giuridici, della sicurezza nazionale e nella sfera dei consumatori aumentano.
Le preoccupazioni sulla neuroetica fondamentalmente sono preoccupazioni in merito alle modalità attraverso le quali la neuroscienza è costruita e debba essere condotta e come le scoperte neuroscientifiche possano essere interpretate e tradotte nelle vite degli individui all’interno delle società. Costruire una comunità neuroetica che dia priorità ad una rappresentazione equa degli interessi e delle prospettive nazionali può avere immediato impatto reale sulla ricerca neuroscientifica e sul quadro normativo a livello globale.
Per approfondimenti, consulenza e formazione in materia di business ethics applicata alle neuroscienze ed alle neurotecnologie contattaci usando il form qui a lato!