0
Il contenzioso climatico: nuovi orizzonti transnazionali

Il contenzioso climatico: nuovi orizzonti transnazionali

AmbientaleOttobre 8, 2023

A fronte dell’estensione da parte della funzione amministrativa, sia il diritto che la giustizia nell’amministrazione dovrebbero diventare scienza e controllo del potere ancora più penetranti, soprattutto allorquando si celano nell’espressionismo tacito dei diritti fondamentali.

Più in particolare, il pericoloso avanzare dell’autorità impone un rinnovarsi della scienza del sindacato del potere, soprattutto da quando il nucleo fondamentale dei diritti umani è stato impattato dal riscaldamento globale.

E’ un vulnus dai tratti invisibili che silenziosamente invade le fondamenta di importanti diritti fondamentali quali in particolare vita e salute, pregiudicandoli sia nei confronti di entità pubbliche che di soggetti privati.

Soprattutto a livello internazionale la proliferazione della c.d. climate change litigation, ha comportato il superamento della soglia delle due migliaia di azioni giudiziali proposte in diverse giurisdizioni. Questa tendenza si caratterizza in particolare per la sua particolare connotazione strumentale, rappresentando un contenzioso utilizzato per sensibilizzare l’opinione pubblica su questioni di importanza capitale, onde determinare cambiamenti sul piano culturale, sociale e dell’azione legislativa ed amministrativa al fine di pervenire alla c.d. climate justice.

Gli eventi dannosi derivanti da gas ed effetto serra, eventi metereologici estremi, nonché danni a persone e proprietà inizia a trovare riconoscimenti sempre più nitidi non soltanto nella letteratura scientifica, ma anche e soprattutto dalle autorità giudiziarie nazionali in numerose giurisdizioni.

Lo sviluppo del diritto climatico nell’Unione Europea

In chiave storico – retrospettiva, tuttavia, la politica ambientale dell’Unione Europea resta attualmente la più evoluta al mondo. Guardiamo adesso qual è stata la partenogenesi del diritto ambientale/climatico.

Le esigenze ambientali cominciarono ad albeggiare nell’orizzonte comunitario già al vertice di Parigi del Consiglio europeo del 1972 e, successivamente, nel primo programma di azione della Commissione in materia ambientale (1973); sennonché e soprattutto per via del progressivo apporto da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in assenza di una base giuridica nei Trattati fu proprio la sua incipiente casistica a legittimare il ricorso ad una lettura estensiva degli articolo 100 e 235 del TCE, riguardanti rispettivamente il riavvicinamento delle legislazioni nazionali e l’integrazione dei poteri delle istituzioni europee in caso di azioni necessarie per la realizzazione degli scopi della comunità.

L’introduzione di un fondamento giuridico è avvenuta soltanto con l’Atto Unico europeo, in cui l’ambiente assurgeva ad azione comune finalizzata in particolare a salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente, contribuire alla protezione della salute umana, garantire una utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.

Successivamente, sulla scia della prima conferenza mondiale sull’ambiente tenutasi a Rio nel 1992, all’interno del Trattato di Maastricht l’ambiente veniva incluso formalmente tra le politiche comunitarie, assegnandosi alla Comunità europea il compito di promuovere una crescita sostenibile e non inflazionistica “nonché un elevato livello di protezione dell’ambiante ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo”. L’evoluzione del relativo concetto è diventata ad Amsterdam un livello elevato di tutela ambientale, divenendo a sua volta principio generale del diritto dell’Unione.

Da ultimo, con il Trattato di Lisbona si è confermato il rilievo dell’ambiente nell’ordinamento nazionale, e la necessità che lo sviluppo sostenibile venga ampliato nella sua portata oltre la mera dimensione economica e proiettato in un’ottica globale.  Su questo multiforme sfondo legislativo iniziano così a svilupparsi le altrettanti multiformi iniziative tutte miranti ad instaurare una tipologia di contenzioso diretto a contrastare il cambiamento climatico.

Giustizia climatica e legislazione italiana

Con riferimento all’ordinamento italiano, in particolare, merita una attenta disamina un’iniziativa giudiziaria tuttora pendente davanti al Tribunale Civile di Roma e che risulta la prima azione promossa davanti alla nostra giurisdizione civile. Cedendo ad un estro pittoresco i partecipanti hanno attribuito a tale causa un buonarottiano titolo di “giudizio universale”: legittimandosi quasi il totalitarismo di una class action, è venuta in essere un’azione proposta da alcune associazioni che si occupano di tutela dell’ambiente e da un folto numero di privati contro lo Stato italiano, chiamato così a rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale indi per responsabilità custodiale ex art. 2043 c.c. o, in via subordinata, ex art. 2051 c.c. e per l’effetto di essere condannato “all’adozione di ogni iniziativa necessaria per l’abbattimento entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2- eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda”.

Il quadro complessivo del contenzioso climatico

Rileva da questa ricostruzione come il vero topos trovi legittimo spazio nell’ambito delle posizioni giuridiche tutelate, riguardando l’esistenza di una nuova sorta di c.d. bene giuridico tutelabile in giudizio e cioè il c.d. diritto umano ad un clima stabile e sicuro, come tale supposto anche in via mediata nella norma primaria (art. 2043 c.c.).

E’ un calderone dai connotati variegato, ricorrendo il nesso tra i cambiamenti climatici e l’impatto che essi provano sulla vita umana e sui diritti fondamentali dell’uomo; esso in particolare viene messo bene in luce anche grazie allo schema proposto dal Center for International Environmental Law, dove ci si riferisce alla lesione di un copioso numero di diritti, quali quello alla vita, alla salute, al diritto di proprietà oppure allo standing of life, cioè una pletora di diritti riconosciuti sia da legislazioni nazionali, ma anche da convenzioni e trattati.

Emerge pertanto un quadro complessivo dove l’evidenza di situazioni giuridiche protette dai tratti acefali si stagliano come appendici sul piano soggettivo della nozione unitaria di “bene ambiente” e che tuttavia godono di una sfera di autonomia appartenente tanto al singolo soggetto quanto alla comunità intera.

Ne deriva pertanto il fondamentale punto di convergenza con i profili attinenti al principio di effettività di tutela.

Nel diritto statunitense è stato proprio riguardo la condizione (standing) della c.d. redressability, intesa come c.d. “giustiziabilità” della domanda, che una nota vertenza (Ju – lianavas, United States del 2015) non ha avuto seguito.

In tale decisione, più in particolare i giudici della Ninth Circuit Court of Appeals hanno fondato la loro decisione di rigetto sul rilievo che in assenza di uno “strumento” esecutivo, e cioè di una forma di tutela atta ad imporre il rispetto della condanna in via sostitutiva o comunque in modo forzoso, si dovrebbe negare il rispetto della condanna in via sostitutiva.

Guardando l’ordinamento giuspenalistico, nel nostro ordinamento è tuttavia prevista una differente forma di tutela che potrebbe rivelarsi più utile nelle ipotesi in esame e cioè la c.d. coercizione indiretta, disciplinata dall’art. 614 bis. c.p., benché com’è noto nel nostro ordinamento la tutela penale degli enti ed associazioni assume carattere prevalentemente amministrativo.

Infine, una delle questioni più complesse del c.d. contenzioso climatico è riferito alla complessità di dimostrare il c.d. nesso causale, ossia il noto criterio di imputazione che consente una volta provato, di attribuire la correlata responsabilità fra la condotta tenuta dal soggetto convenuto (stato o società privata) e l’impatto sullo stato climatico che avrebbe a sua volta determinato i danni a cose o persone.

Oltre il nesso di causalità, destano numerose difficoltà altresì le questioni attinenti alla stessa “azionabilità” della pretesa (Justiciability), sia per l’assenza di precisi standards sulla disciplina delle emissioni, sia per la natura politica della tipologia di lesione dedotta in giudizio, od ancora alla legittimazione ad agire, considerando che gli attori potrebbero avere correlate difficoltà nel fornire la prova del danno subito o che il convenuto sia effettivamente il soggetto cui vadano ascritte effettivamente le condotte dannose.

1 Star2 Stars3 Stars4 Stars5 Stars (5 votes, average: 5,00 out of 5)
Loading...

Lascia un commento

Your email address will not be published.