Biotecnologie e Sicurezza Alimentare: Modelli Regolatori UE vs USA
L’uomo è un animale umano la cui origine onnivora ha seguito le esigenze di armonizzazione nel corso delle varie epoche storiche. Una drastica esigenza in tal senso è seguita ai drastici mutamenti intervenuti dopo la rivoluzione industriale; a seguito di questo evento, in termini generali, si può dire come il peso specifico delle caratteristiche socio – demografiche di una popolazione e le abitudini di consumo debbano essere necessariamente ponderati nei processi di autorizzazione degli alimenti, affinché il diritto possa offrire soluzioni accettabili per le società cui si rivolge.
In particolare, il crescere dell’attenzione dei consumatori sulla food safety nelle economie occidentali, hanno visto nascere due approcci, due modelli giuridici diametralmente opposti, conseguenza di una diversa origine di un mercato di prodotti di qualità in cui la purezza e l’igiene dell’alimento diventano caratteristiche determinanti ed irrinunciabili nella formazione del consenso degli acquisti.
Allo stato, i modelli di food safety più diffusi a livello mondiale sono rappresentati da un lato dal modello comunitario e dall’altro dal modello statunitense.
Il primo limita la libera circolazione degli alimenti e dei mangimi nei casi di insicurezza alimentare conclamata, ed amplificando la portata del “bisogno di salubrità” con il principio di precauzione, interviene sul mercato anche in ipotesi di “dubbio non smentito” di salubrità.
All’interno dei Paesi che adottano tale modello, la lettura precauzionale del rischio impegna il singolo produttore, l’importatore, il distributore ed anche le stesse autorità pubbliche ad uno sforzo di valutazione e gestione del rischio prima dell’immissione del prodotto sul mercato.
Il secondo modello è quello statunitense dove il “bisogno di salubrità” si è venuto imponendo al sistema giuridico, generando regole limitative della libera circolazione delle merci.
Si tratta, pertanto, di due modelli che in quanto tali presentano caratteristiche profondamente diverse; “precauzionale” quello europeo, ove la libera circolazione di siffatti prodotti è limitata fin dove permane un “dubbio non smentito” di salubrità, “preventivo”, invece, quello statunitense, in cui le limitazioni alla circolazione sono ammesse solo per rischio alimentare conclamato.
Questo contrasto si fa ancora più palese nella disciplina degli alimenti geneticamente modificati (gm), la cui salubrità a medio e lungo termine non è garantita e su cui i due modelli possono manifestare pienamente la loro diversità concretizzandosi in un approccio diametralmente opposto.
In questa direzione, allora, soprattutto al fine di verificare in che misura il diritto sia in grado di gestire tale relazione, risulterà indispensabile capire quali sono le attitudini del pubblico rispetto ai risultati della tecnoscienza ed in generale, rispetto a tutto ciò che appare artificiale.
Il legislatore, soprattutto quello italiano, dovrà allora regolare il progresso biotecnologico nel settore agroalimentare garantendo, da un lato, la sicurezza dei prodotti sulla base del grado di rischio per arginare le c.d. neofobie dei consumatori e dall’altro, sarà tenuto a coordinare gli obiettivi di tutela dell’origine con quelli del mercato e di tutela della salute dei consumatori; quest’ultimo, anche alla luce della necessità di rendere effettivo il c.d. approccio di tutela della Salute Unica, sarà un compito sempre più complesso anche e soprattutto per via della sua formazione in itinere.
Benché rimanga ancora destrutturato a livello normativo, l’approccio inclusivo di tutela della Salute Pubblica ha iniziato a trovare un progressivo riconoscimento non solo a livello internazionale. Nel 2021, infatti, il gruppo di esperti della Tripartite Plus del One Health High Level Expert Panel (OHHLEP), partecipato della Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), dal United Nations Environment Programme (UNEP), dalla World Health Organization (WHO) e dalla World Organisation for Animal Health (WOAH), ha definito la salute Unica – One Health – come un approccio integrato ed unificante che mira a bilanciare ed ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. One Heath, mobilitando più settori, discipline e comunità a vari livelli della società, riconosce che la salute degli esseri umani, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente, sono strettamente collegati ed interdipendenti.
La naturale diffidenza dei consumatori verso gli alimenti geneticamente modificati e le biotecnologie, ha assunto dimensioni ancora più consistenti quando l’innovazione concerne i prodotti che impattano direttamente sulla salute, quali i prodotti agroalimentari, o la relativa catena di produzione.
Sennonché e benchè i consumatori abbiano attribuito importanza alle conseguenze sull’ambiente di ciò che mangiano, essi tuttavia continuano a confermare la loro preferenza dirigendola verso prodotti naturali, a prescindere dalle ripercussioni sulla conservazione dell’ambiente.
Benché spesso non corrispondente al vero, si tratta di una tendenza che potrebbe rivelarsi anche incoerente con la priorità di orientare le scelte dei consumatori verso prodotti più adatti a proteggere maggiormente la salute globale dei consumatori, nonché l’ecosistema ed altre forme di vita.
Le riforme giuridiche relative agli artefatti dell’ingegneria genetica ed i contesti istituzionali fanno emergere il progressivo convergere delle risposte apprezzate dalle istituzioni europee e statunitensi, individuando così due principali modelli regolatori in circolazione nei diversi contesti per la disciplina degli ogm; da un lato quello di matrice europea basato sulla regolazione del processo e riferito a tecniche di ingegnerie genetica usate per produrre piante, e dall’altro quello imperniato sulla regolazione del prodotto, diffusosi a livello internazionale, e negli Stati Uniti, quale approccio indifferente ai diversi procedimenti per l’ottenimento di un determinato prodotto, incentrato sulle caratteristiche finali assunte dal risultato dell’ingegneria genetica.
A livello europeo, la messa in commercio di alimenti gm, trova nel principio della “sostanziale diversità”, la base della disciplina che importa il divieto di commercializzazione “a meno che per essi non sia stata rilasciata un’autorizzazione ed a meno che non vengano rispettate le relative condizioni e cioè l’assenza di effetti nocivi, la tutela dei consumatori, nonché la diversità “non eccessiva” sul piano nutrizionale rispetto agli omologhi convenzionali (art. 4 del Regolamento (CE) N.1829/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti ed ai mangimi geneticamente modificati ed il cui oggetto sono i prodotti ogm utilizzabili come alimenti o materiale di base per la loro produzione, gli alimenti che contengono ogm anche in un solo ingrediente e quelli ottenuti da un ogm, anche se non più presente).
Un ruolo fondamentale nell’esecuzione di tali valutazioni è svolto dall’EFSA, e questo benché all’emanazione del Regolamento istitutivo dell’Autorità n. 178/2002 (Regolamento CE N. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare), la formulazione degli articoli relativi alle funzioni ed ai compiti aveva dubitare di siffatto ruolo.
In questo coacervo l’interprete si trovava ad evincere i limiti di estensione delle competenze, ricavandole in particolare dal dato testuale, secondo cui “al fine di evitare inutili ripetizioni di valutazioni scientifiche e di pareri”, l’Autorità avrebbe dovuto “formulare pareri scientifici su prodotti diversi degli alimenti e dai mangimi riconducibile ad organismi geneticamente modificati (art. 22.5., lett. c).
Con l’introduzione del cit. regolamento del 2003 questa difficoltà interpretativa è venuta meno, riconoscendosi espressamente all’EFSA come l’ente di valutazione del rischio di tali prodotti; il risk assessment per gli alimenti gm, pertanto, si traduce in un compito svolto dall’EFSA nell’ambito di un procedimento obbligatorio per loro messa in commercio che, adattato nel corso del tempo, vige sin dal 1990, data di emissione del primo provvedimento di regolamentazione degli ogm (Direttiva N. 90/220/CEE del Consiglio del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati).
Con l’entrata in vigore del cit. Regolamento n. 1829/2003, la disciplina e la procedura pregresse sono state soppiantate da una centralizzazione con poteri di autorizzazione solo in capo alla Commissione, in una scomposizione di competenze dell’analisi del rischio di cui al cit. Regolamento n. 178/2002, che vuole la valutazione del rischio (il c.d. risk assessment) in capo all’EFSA, la sua gestione (il risk management) nella disponibilità dell’organo politico – amministrativo europeo, la Commissione appunto, e la sua comunicazione rimessa alle regole sull’accesso e partecipazione del pubblico e sulla distribuzione dell’informazione in materia.
In realtà, però, l’adattamento del sistema giuridico a prodotti come gli ogm, non è effetto dell’approccio precauzionale o meno del singolo ordinamento, ma prima ancora conseguenza diretta di una scelta fondamentalmente di politica economica. Sostenere o meno le biotecnologie alimentari rappresenta una decisione che, nella mancanza di certezza, si sostanzia in una vera e propria sfida dove il sentire o meno l’adattamento del sistema economico, espone il sistema stesso ad un rischio per la salute pubblica e la stabilità economica delle imprese coinvolte, di notevole portata di cui soltanto il potere politico può assumersi la responsabilità, giustificandola ove valida ed efficace per lo sviluppo economico di tutti i paesi coinvolti.
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