Accordi di coesistenza tra marchi: aspetti legali chiave
Sotto un profilo generale, gli accordi di coesistenza integrano delle pattuizioni private, invero dei veri e propri contratti sottoscritti da due o più parti volti in particolare a regolare l’uso di segni potenzialmente confondibili fra loro.
Tramite questi accordi il titolare di un marchio acconsente all’uso di un segno che potrebbe rientrare all’interno della sua sfera di esclusiva; essi, prevedendo in genere che l’uso del segno potenzialmente confondibile avvenga con determinate modalità, oppure che lo stesso sia circoscritto ad un determinato settore merceologico o territorio geografico, finiscono per disciplinare le modalità di coesistenza di segni sul mercato.
Nella sostanza, gran parte degli accordi di coesistenza vengono conclusi a scopo puramente transattivo, cioè, al fine di evitare l’insorgere di controversie per pretese contraffazioni, con la precisazione che il loro contenuto comprende di regola una serie di pattuizioni di diversa natura. Ne consegue che le conseguenze concrete di un accordo di coesistenza dovranno comunque valutarsi anche a seconda dei settori di attività, delle categorie merceologiche, essendo detti accordi indubbiamente più importanti nelle classi più affollate di registrazioni e nelle quali, per tradizioni o per altri motivi, i marchi siano comunemente espressivi di caratteristiche o funzioni del prodotto o del servizio contrassegnato.
Sotto un profilo temporale, pertanto, la stipulazione dell’accordo potrà avvenire prima della registrazione allo scopo precipuo di predeterminazione degli ambiti, intesi quali settori merceologici, di utilizzo di segni in rapporto di interferenza, ma anche successivamente con finalità tipicamente transattive.
Da un punto di vista soggettivo, ai fini della configurabilità dell’accordo di coesistenza, sarà anzitutto necessario che i segni distintivi, la cui sfera di rilevanza forma oggetto dell’accordo, appartengano a titolari diversi. Si tratta peraltro di una regola suscettibile di applicazioni derogatorie.
La Cassazione, in particolare, con la sentenza 19 ottobre 2004, n. 20472 ha precisato come detti accordi “possono riguardare anche l’utilizzazione di uno stesso marchio, come nell’ipotesi della comunione di marchio o dei marchi di gruppo, ovvero nel caso di frammentazione di un complesso produttivo unitario in una pluralità di imprese distinte ed indipendenti”.
Questa possibilità è del resto avvalorata dall’art. 6 del Codice della Proprietà Industriale (d.lgs.10 febbraio 2005, n. 30), il quale statuisce l’applicabilità alla contitolarità di un diritto di proprietà industriale delle norme del codice civile in materia di comunione in quanto compatibili, facendo salva la possibilità che intervengano convenzioni in contrario.
Sotto il profilo oggettivo, invece, l’interferenza fra segni può derivare dall’identità o dalla somiglianza tra i marchi ovvero dall’affinità o identità dei prodotti o dei servizi che i marchi interessati contraddistinguono.
In tal senso rileva l’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale, nonché l’art. 9 1a-b del Regolamento sul marchio comunitario (Regolamento CE 40/93), il quale specifica che il marchio conferisce il diritto di vietare a terzi l’uso nell’attività economica di un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o affini quando, a causa dell’identità o somiglianza tra i segni ed a causa dell’identità o somiglianza tra i prodotti od i servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può anche consistere in un rischio di associazione fra i due segni.
Da un punto di vista territoriale, invece, sono proprio le piccole realtà economiche operati in zone geografiche limitate ad utilizzare segni potenzialmente confliggenti.
Ora, se questa connotazione non da luogo a problemi particolari per lunghi periodi di tempo, viceversa, le cose invece cambiano quando le imprese iniziano a scontrarsi in conseguenza di piani di sviluppo che prevedano l’acquisizione di nuovi settori merceologici rispetto ai quali il marchio non sia stato ancora registrato.
In un contesto siffatto, l’accordo avrebbe il ben diverso fine di rispondere a finalità ulteriori rispetto a quelle afferenti la necessità di evitare il possibile rischio di confusione, ovvero l’inganno per il pubblico quanto, soprattutto, la necessità di scongiurare possibili attacchi da parte di altre entità titolari di segni interferenti.
La natura giuridica e i rapporti con la normativa Antitrust
La principale difficoltà di inquadramento della fattispecie in questione è per lo più dipesa dalla costante mancanza di un corpus normativo unitario, capace di collocare la disciplina all’interno di una cornice giuridica dai tratti unitari.
Anzitutto, recentemente, in sede dell’Ufficio di Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI), si è affrontata la tematica della validità e compatibilità con il sistema del marchio comunitario degli accordi di coesistenza, giungendo a definirli come un metodo “universalmente accettato per risolvere in modo costruttivo le controversie relative ai marchi”.
Il fatto che gli accordi di questo tipo siano di fondamentale importanza per la soluzione extragiudiziale dei potenziali conflitti tra i marchi, sarebbe stata altresì riconosciuta dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.
Pertanto, ciò posto, ne risulta come per le parti che intendono addivenire ad un simile contratto siano abilitate a verificare se la legge applicabile all’accordo stesso riconosca ed entro quali limiti ammetta, le suaccennate pattuizioni.
Ora, un sicuro punto di convergenza in questo senso è stato rinvenuto nella sussunzione della fattispecie generale/residuale di cui all’art. 1322, 2° comma, c.c, che definisce la categoria dei contratti atipici o c.d. innominati.
Più in particolare, e sulla base del suddetto dettato normativo, nulla in linea di principio osta a ritenere che un accordo di coesistenza non sia finalizzato alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela.
Anzi, in questa circostanza, la meritevolezza dell’interesse dell’accordo potrà essere giudicata ammissibile nella misura in cui si presenti come soluzione ad un possibile conflitto fra segni, ovvero inammissibile perché ingenerante confusione, suscettibile in quanto tale di determinare contrarietà all’interesse pubblico.
L’incidenza degli accordi di coesistenza nella tutela del consumatore
Fra i multiformi interessi correlati alla fenomenologia degli accordi di coesistenza, un posto di indubbio rilievo è dato dalla loro armonizzazione con lo statuto del consumatore, il quale non deve essere esposto al rischio di confusione.
Quest’ultima evenienza, infatti, ricorre allorquando il consumatore cada in errore circa la provenienza del prodotto contrassegnato dal marchio. Al contrario, si configura, invece, la decettività, quando l’utilizzatore finale venga, invece, ingannato circa la natura, la qualità o la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi.
Altra tipologia di limitazioni che rilevano ai fini del giudizio di ammissibilità è l’antitrust, che può riguardare sia la sfera merceologica, ovvero l’aspetto grafico del segno, od ancora il territorio geografico di rispettiva pertinenza, nonché i canali distributivi.
Per cominciare, da un punto di vista generale, il potenziale conflitto con la normativa antitrust non può ritenersi a priori svincolato da ogni prospettiva di armonizzazione.
In ambito comunitario, infatti, detta incompatibilità potrebbe verificarsi in relazione a limitazioni di carattere territoriale, che comunque necessitano di essere valutate in relazione allo specifico caso.
Se l’accordo privato in quanto tale permette una chiara disciplina delle modalità di utilizzo dei segni, detta disciplina risulta correlativamente di diretto vantaggio per il consumatore, poiché impedisce che lo stesso cada in errore.
Viceversa, laddove la natura dell’accordo si caratterizza per evitare reciproche aggressioni tra le parti, l’accordo assume un effetto pro – concorrenziale.
In tal caso, l’impresa desiderosa di affermare ovvero di mantenere e salvaguardare la propria distintività sul mercato, dovrà comunque considerare che l’accordo di coesistenza, proprio per la sua natura transattiva, si pone come possibile risposta ad una situazione litigiosa, presente o potenziale.
Ne consegue come, al fine di incorrere in una superficiale strategia di scelta del marchio, sarà necessario da un lato che gli operatori eleggano con attenzione il proprio segno distintivo con un’accurata ricerca di anteriorità, e dall’altro che, nel valutare l’opportunità e la convenienza di concludere un accordo di coesistenza, l’impresa interessata dovrà verificare se l’accordo sia effettivamente in grado di garantire una duratura pacifica convivenza sul mercato dei marchi interferenti, ovvero se abbia unicamente il fine di procrastinare la certezza di una lite.
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