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liquidazione quota socio in caso scioglimento società

Liquidazione quota socio in caso di scioglimento della società

BusinessFebbraio 27, 2022

Nella pronuncia di un lodo arbitrale portante data al 24 novembre 2020 – Arbitro Avv. Pezzano-  è stato delineato il rapporto che si instaura tra la procedura di liquidazione del socio escluso (o receduto) e quella di liquidazione della società, in particolare all’interno delle società di persone.

Come noto, al socio che per un qualsiasi motivo esce dalla società spetta la liquidazione della propria parte di partecipazione.

Ciò accade ovviamente anche quando l’uscita dalla compagine societaria sia stata votata dagli altri soci, i quali hanno deciso di appellarsi all’art. 2286 cc. a causa delle gravi inadempienze del socio.

Allo stesso modo, quando una società termina la propria esistenza, ovvero si scioglie, si apre la fase di liquidazione della società, finalizzata appunto allo “smaltimento” della stessa, il cui ricavato andrà utilizzato principalmente per soddisfare i creditori della società ed eventualmente, in ultima battuta, per remunerare i soci.

Guardando queste due ipotesi insieme non si può fare a meno di notare un possibile problema di coordinamento nel caso in cui dovessero verificarsi in contemporanea o immediatamente prima o dopo allo scioglimento societario.

Pensiamo ad esempio al caso in cui sia stata deliberata l’esclusione del socio, ed entro 6 mesi non sia stato ricostituito il capitale sociale con la naturale conseguenza dello scioglimento della società, né sia stata ancora liquidata la quota del socio escluso.

In questo caso vi sarà sovrapposizione tra le due procedure, con un problema relativo alla gerarchia dei creditori.

Analogamente, si prenda il caso in cui la delibera di scioglimento societario sopraggiunga entro i 6 mesi dalla delibera di esclusione del socio.

Infine, si pensi al caso in cui la società venga messa in stato di liquidazione, e successivamente i soci decidano di escludere il socio gravemente inadempiente in pendenza dello stato di liquidazione. Anche in questo caso vi sarebbe concorrenza tra la liquidazione della quota sociale e rimborso dei creditori.

In tutti i casi il socio, ancorché escluso, in ragione della propria qualità di socio non potrebbe sopravanzare i creditori della società, i quali hanno la precedenza nella ripartizione dell’attivo societario.

Nel caso deciso dal lodo in esame si era verificata la prima ipotesi: la società aveva deliberato l’esclusione del socio, ma nonostante fossero trascorsi i 6 mesi indicati dall’art. 2289 cc (anzi, erano trascorsi ben 4 anni dalla delibera dell’esclusione) non era ancora stata liquidata la quota del socio escluso. Per di più, poco dopo il decorso dei 6 mesi di esigibilità della quota da parte del socio escluso, era stato deliberato lo scioglimento della società.

L’arbitro ha deciso che nelle società di persone le due procedure di liquidazione concorrono, senza che una prevalga sull’altra, ancorché si sia determinata prima quella di liquidazione della quota del socio, salvo il caso in cui la liquidazione sia stata richiesta dal creditore particolare del socio, ed entro tre mesi dalla richiesta intervenga lo scioglimento della società (artt. 2270 e 2289 c. 4 cc).

Solo in questo caso, infatti, i due sub-procedimenti (domanda del creditore particolare del socio ex art. 2270 c. 2 e liquidazione del socio receduto ex art. 2289 c. 4) cedono la priorità alla procedura di liquidazione generale della società, proprio perché il creditore del socio non può sopravanzare i creditori sociali.

Secondo il lodo arbitrale, le norme delle società di persone permettono interazioni positive tra i procedimenti di liquidazione della quota del socio e quella generale della società, da un lato permettendo che anche in fase di liquidazione societaria sia conseguibile la determinazione giudiziale del valore della quota dell’ex socio, dall’altro consentendo che questo venga pagato dal liquidatore (comunque nel rispetto dell’art. 2280 c.1 cc e di tutte le cause legittime di prelazione).

Nel caso in esame, la società sosteneva invece che il subprocedimento di liquidazione della quota dovesse essere assorbito dalla procedura generale di liquidazione societaria, poiché declinando le norme degli artt. 2290 e 2289 con la disciplina delle società in accomandita semplice (ndr. la società resistente era appunto una s.a.s.), risultava da un lato che prima del decorso del semestre dal perfezionamento del recesso del socio, questo fosse impossibilitato ad agire giudizialmente per soddisfare la sua pretesa, dall’altro che una volta scaduto il semestre senza che siano state ricostituite le categorie necessarie di soci (come accaduto nel caso in esame), in quel caso scatterebbe automaticamente lo scioglimento e la messa in stato di liquidazione della società, con l’ulteriore conseguenza che l’azione del socio per ottenere la propria quota deve necessariamente inserirsi nella procedurale generale di liquidazione societaria, nel rispetto dell’ordine dei creditori.

Ma occorre precisare che il limite di 6 mesi dopo il perfezionamento dell’esclusione incide solo ai fini di determinare da che momento l’ex socio può agire giudizialmente per ottenere la propria liquidazione, perché il diritto sostanziale del credito si è già perfezionato allo scadere dei 30 giorni successivi alla comunicazione dell’esclusione.

Tradotto, è vero che il credito diventa esigibile dopo 6 mesi, ma la sua esistenza è cristallizzata già al realizzarsi dell’esclusione.

All’atto pratico, questo significa che la liquidazione della quota del socio, escluso o receduto, seguita dalla messa in stato di liquidazione della società, dovrà essere effettuata tenendo conto del valore della quota al momento del recesso, e non all’esito del riparto tra tutti i soci.

Il socio escluso o receduto verrà quindi pagato da liquidatore nel rispetto delle varie categorie di creditori e di prelazione, ma la sua quota non sarà calcolata dividendo l’attivo rimanente tra tutti i soci, ma con riferimento al valore che questa aveva al momento dell’esclusione.

Viceversa, come concorrono le due procedure quando l’esclusione/recesso del socio avviene successivamente alla messa in liquidazione della società?

Per la verità, parte della giurisprudenza meno recente non riteneva nemmeno possibile questa possibilità, nelle società di persone.

Una interpretazione ricavata dall’art. 2270 cc, secondo cui non sarebbe più possibile l’esclusione, e quindi la liquidazione della quota di un socio dopo lo scioglimento della società, perché è già in atto la liquidazione di tutte le quote sociali.

Ma la giurisprudenza più recente ha rettificato questa interpretazione ammettendo la possibilità di escludere un socio anche dopo lo scioglimento della società, poiché questa continua ad esistere fino al termine della liquidazione, in forza di un contratto che non sarà più finalizzato all’esercizio dell’attività ma alla definizione dei rapporti ancora esistenti.

I soci quindi, finché la società esiste, ancorché in stato di liquidazione, sono titolari di diritti e destinatari di doveri.

Per cui, il socio gravemente inadempiente potrà essere escluso anche dopo la delibera di messa in stato di liquidazione della società. Tanto più che lo stato di liquidazione non è un’operazione irreversibile, ma “annullabile” eliminando la causa che l’ha determinato.

Impedire ai soci di escludere il socio, il quale magari ha contribuito in maniera determinante allo scioglimento della società, durante la fase di liquidazione, equivarrebbe a mettere una vera e propria pietra tombale sulle possibilità di inversione del processo.

Per quanto riguarda invece ciò che ci interessa più da vicino invece, ossia il concorso tra le due procedure di liquidazione, a differenza di quanto visto in precedenza, la quantificazione della quota del singolo socio escluso o receduto andrà trattata alla stregua di quella degli altri soci.

Per la verità, questa impostazione, figlia già della sentenza di Cassazione a Sezioni Unite n. 291/2000, non è del tutto condivisa dal lodo in commento, perché antecedente alla grande riforma societaria del 2003.

Ma non potrebbe essere altrimenti, dato anche l’art. 2280 c.c. vieta la ripartizione e il rimborso a favore dei soci prima che siano pagati i creditori della società.

In altre parole, quando si perfeziona il diritto alla liquidazione della quota, sorge automaticamente in capo alla società un ulteriore debito, che sarà comunque pagato dopo l’estinzione di tutti i debiti sociali.

Il lodo si spinge oltre le società di persone e si occupa, più marginalmente, di individuare il rapporto tra le due procedure anche nelle società di capitali, e in particolare nelle SRL, il modello più simile alle sas.

La particolarità da sottolineare in questo caso è la possibilità per i soci sopravvissuti di “annullare” gli effetti del recesso del socio, tramite acquisto della quota del socio uscente, anche attraverso riduzione del capitale sociale.

Chiaramente, laddove ciò non fosse possibile, la società sarà costretta allo scioglimento.

Ciò non è previsto invece nei casi di esclusione del socio, per cui la liquidazione della quota potrà essere effettuata solo tramite acquisto della quota da parte dei soci o di terzi concordati.

Più in particolare, i soci hanno la possibilità di neutralizzare il diritto di recesso del socio eliminando la causa che lo ha legittimato, oppure deliberando direttamente in risposta al recesso lo scioglimento della società.

Ciò non è infrequente, data la sottolineata prevalenza della figura del socio all’interno delle srl, per cui il venir meno delle qualità del socio uscente può indurre i soci superstiti a preferire lo scioglimento societario al posto di continuare senza il socio receduto.

Ma le norme non pongono un termine perentorio entro il quale possono essere azzerati i recessi dei soci delle srl, con il rischio di lasciare il socio receduto in un limbo di incertezza rispetto al proprio destino all’interno (anzi, all’esterno) della società.

Per cui, anche in questo caso, l’esclusione o il recesso del socio non si compiono pienamente solo al momento della liquidazione della quota, ma alla scadenza del termine fissato per la realizzazione dell’effetto risolutivo (il termine indicato dallo statuto, o in sua mancanza 180 giorni).

In conclusione, sia che si parli di società di persone che di società di capitali, l’eventuale liquidazione della società che dovesse sovrapporsi con l’esclusione del socio implica il differimento del solo pagamento della singola quota, nel rispetto delle prelazioni previste per i diversi creditori sociali.

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